In moschea con i calzini bucati. gaffe di Wolfowitz in Turchia

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Fa il giro del mondo l’immagine del presidente della Banca Mondiale

(la Repubblica, 30 gennaio 2007)


La “disattenzione” ha stupito soprattutto in un conoscitore delle usanze islamiche

di FEDERICO RAMPINI

I mass media turchi non si sono lasciati sfuggire l’occasione di immortalare la singolare gaffe stilistica: il presidente della Banca Mondiale Paul Wolfowitz, in visita alla moschea di Edirne, dopo essersi tolto le scarpe ha esibito due calzini bucati. Gli alluci al vento dell’ex-falco neocon della Casa Bianca, promosso da George Bush nel 2005 nell’improbabile ruolo del banchiere dei poveri, si sono guadagnati un titolo del tg e le foto in prima pagina sui quotidiani di Ankara. E’ curioso che proprio lui sia arrivato impreparato di fronte alla regola di entrare scalzi in una moschea.

Nel 1986-89 fu ambasciatore americano in Indonesia (la più grande nazione musulmana del mondo), e più di recente le cronache rosa gli attribuiscono una relazione con la signora araba Shaha Riza, dirigente della stessa Banca Mondiale. L’attenzione dei turchi era prevedibile. Nel mondo islamico il nome di Wolfowitz riassume tutto ciò che è andato storto nella politica americana in Medio Oriente da almeno trent’anni. Allevato alla scuola intellettuale dei filosofi Leo Strauss e Allan Bloom, membro di quel gruppo di ex radicali di sinistra “pentiti” durante gli anni della guerra fredda, Wolfowitz comincia a occuparsi del mondo arabo quando è ancora membro del partito democratico. Nel 1977 lavorando al Pentagono sotto l’Amministrazione Carter si fa notare per un grintoso studio su “Radicalismo arabo e atteggiamenti anti-occidentali”, e per la sua precoce ossessione sull’Iraq.

Nel 1980 passa in area repubblicana, al Dipartimento di Stato arruola alcuni dei più radicali neocon, da Francis Fukuyama a Lewis Libby, e scavalca a destra il presidente Ronald Reagan contestando ogni tentativo di dialogo con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Negli anni Novanta è uno dei fondatori del Project for the New American Century, il think tank che elabora piani di politica estera per Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Come sottosegretario alla Difesa nell’Amministrazione Bush, anima una “intelligence parallela” al servizio esclusivo del vicepresidente Cheney, l’Office of Special Plans (Osp), decisivo per costruire il teorema delle armi di distruzione di massa e preparare la guerra in Iraq. Con una biografia simile, è d’obbligo l’attenzione delle telecamere quando visita una moschea.


Anche nel suo nuovo mestiere l’eminenza grigia di “Enduring Freedom” continua a eccitare le controversie. La Banca Mondiale, creata nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods, per statuto deve offrire ai paesi del Terzo mondo “finanziamenti e assistenza per promuovere lo sviluppo ed eliminare la povertà”. Non sempre è all’altezza della sua missione. Uno degli effetti perversi delle sue politiche: per pagare gli interessi sui prestiti ricevuti dalla World Bank i paesi più poveri del pianeta trasferiscono ogni anno 1,7 miliardi di dollari ai paesi ricchi.

Un Robin Hood alla rovescia. Sotto la gestione del suo predecessore, il banchiere-umanista James Wolfensohn, la World Bank cercò di reagire alle critiche e di incarnare una via progressista allo sviluppo, includendo nei suoi progetti l’impatto ambientale, lo studio delle diseguaglianze sociale, della condizione femminile, distanziandosi dal “gemello” neoliberista, il Fondo monetario internazionale. L’arrivo di Wolfowitz ai comandi della Banca Mondiale è stato interpretato come un golpe della destra americana per riprendere il controllo di un’istituzione che condiziona un centinaio di paesi del Terzo mondo. Dal suo insediamento il nuovo presidente si è distinto per una raffica di nomine di amici neocon ai piani alti della banca. In omaggio all’avversione di Bush per le istituzioni multilaterali, Wolfowitz ha anche annunciato spietati tagli al budget dell’istituzione. Nei calzini bucati qualcuno avrà visto un brutto presagio, e non solo in Turchia.

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