Lotta agli infortuni: le aspettative del sindacato dal nuovo governo

by redazione | 8 Ottobre 2006 0:00

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Paola Agnello Modica (segreteria Cgil): agire su Asl e precari

(da “il manifesto”, 8 ottobre 2006)

di Antonio Sciotto


«Gli ultimi gravissimi fatti di cronaca, l’appello del presidente della Repubblica, hanno perlomeno fatto emergere a livello mediatico quella che è una realtà quotidiana: si continua a morire e ad ammalarsi nei luoghi di lavoro, e purtroppo l’incidenza degli infortuni e delle malattie professionali cresce tra le categorie più esposte: i lavoratori immigrati, i precari, le donne. Il governo è cambiato e adesso ci aspettiamo una lotta decisa, riconoscendo che qualcosa ha incominciato a muoversi». Paola Agnello Modica, segretaria confederale Cgil, ci spiega quali siano, secondo il sindacato, le vie per rendere più sicuri i campi, le fabbriche, i cantieri.
Come sta andando la lotta agli infortuni? Sembra che l’emergenza non si stia spegnendo affatto.
C’è ancora molto da fare, bisogna recuperare ritardi e storture, ma sarebbe ingiusto dire che non si sia mosso nulla. Intanto si è ottenuto che il governo estendesse a tutti i settori il Durc, il documento unico di regolarità contributiva, la regola dell’assunzione il giorno prima di inizio lavori, il concetto degli indici di congruità. Siamo anche stati convocati dai ministeri della salute e del lavoro per discutere del Testo unico per la sicurezza. Ma sono passi che, da soli, non basterebbero. Cerco di spiegarmi. Innanzitutto in Italia si guarda alla sicurezza sul lavoro solo dal punto di vista delle ispezioni. Non è così: dovremmo recuperare una grande conquista degli anni Settanta, quando si mettevano insieme «prevenzione, cura e riabilitazione». Qui le grandi assenti restano le regioni, certo non facilitate dai tagli alla sanità operati anche da questa finanziaria: dovrebbero rilanciare il servizio prevenzione delle Asl, assumendo il personale precario e ridando qualità agli strumenti con cui lavorano.
E’ anche vero che, da anni, le ispezioni sono scese quasi a zero.
Sì, ma non bisogna guardare alle ispezioni come qualcosa di terribile: ricordiamo che gli ispettori danno un certo tempo alle aziende per adeguare gli impianti e le procedure, se rilevano che sono obsoleti: e se i tempi sono rispettati si cancella il piano penale e si riducono le sanzioni. E’ un punto che dovrebbe essere conservato nel Testo unico. Il fatto è che oggi gli ispettori possono intervenire solo a infortunio già avvenuto, perciò è chiaro che lì le sanzioni sono molto pesanti. Le incidenze più alte, comunque, si concentrano soprattutto in alcuni settori del lavoro: le piccole e piccolissime imprese, cui vengono appaltate e subappaltate commesse; hanno procedure e macchinari superati, il lavoratore è più ricattabile. Come più ricattabili sono gli immigrati, i precari, la gran parte donne: non a caso il 21 ottobre saremo in piazza a Foggia contro il lavoro nero. Secondo l’Inail – e per noi sono dati sottostimati – ben 200 mila infortuni l’anno non sono denunciati. E la mancata prevenzione sul lavoro costa al paese il 3% del Pil.
Quali soluzioni, allora?
Serve un intervento su più fronti: bisogna correggere il mercato del lavoro, eliminando la precarietà, ed elaborare normative più stringenti sugli appalti, riformando il Codice unico varato da Berlusconi ed evitando il massimo ribasso. Si parla poco, poi, di malattie professionali, che rovinano ugualmente la vita: l’Inail spesso non le riconosce neppure. Il sindacato, infine, dovrebbe ricominciare a inserire il tema delle condizioni del lavoro, dei ritmi, dei turni e dei carichi, nella contrattazione. Su più livelli, ad esempio di sito per i lavoratori delle esternalizzate.

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