by redazione | 4 Ottobre 2006 0:00
L’interrogatorio di Marco Mancini, capo del controspionaggio
(La Repubblica, 4 ottobre 2006)
Il racconto dello 007 Mancini ai magistrati di Milano: “Bonini
e D`Avanzo osservati e pedinati. Erano un problema di Stato”
LA SICUREZZA NAZIONALE
I magistrati che indagano sul rapimento di Abu Omar (17 febbraio 2003), Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, e il gip Manzi, alle 15.00 del 7 luglio scorso entrano a San Vittore. Alle 15.18 comincia l`interrogatorio. Gli inquirenti chiedono al gip se il Sismi abbia mai avuto dei giornalisti come collaboratori. Mancini dice che lui non ha “mai avuto fonti giornalistiche”, ma approfitta della domanda per provare a giustificare le attività di controllo sui due giornalisti di Repubblica: “Hanno detto cose che a mio giudizio sono molto pericolose per la sicurezza nazionale”.
Tra silenzi e precisazioni Mancini ammette che i due giornalisti erano osservati, sicuramente pedinati, lui esclude intercettati. Ma quando il gip gli chiede quali siano le cose pericolose per la sicurezza nazionale, lui risponde che Repubblica ha scritto che “io ho avuto trenta giorni di malattia”, particolare secondo lui “segreto”. Interviene Spataro. “Dare la notizia che lei sta trenta giorni in malattia non è né un segreto né una rivelazione di un segreto”. Interviene l`avvocato Luca Lauri che suggerisce al suo cliente che è stato rivelato anche che lui era il capocentro Sismi di Milano.
I magistrati gli ricordano la telefonata intercettata tra lui e Pio Pompa il 12 maggio 2006, in cui i due parlano degli spostamenti di Bonini e D`Avanzo, sanno che sono all`Hotel Diana Majestic di Milano e che fanno “la spola con Spataro”. Sulla telefonata Mancini non è in grado di dare una spiegazione. I magistrati insistono e lui prima fa finta di non capire, poi sollecitato dall`avvocato Panella, ricorda che quel giorno c`era un “interesse istituzionale a conoscere le attività di Bonini e D`Avanzo”. Mancini ricorda un comunicato del ministro della Difesa. Protegge Pompa, dicendo che “è incapace di fare intercettazioni” e a quel punto dovendo giustificare come mai Pompa fosse in grado di sapere in tempo reale con chi parlava al telefono D`Avanzo, sostiene che l`informazione arrivava da una “fonte interna a Repubblica”.
La risposta di Mancini è inverosimile e illogica, perché, come i magistrati sanno, Bonini e D`Avanzo quel giorno non sono in redazione, ma a Milano, quindi nessuno può sapere, neanche un collega, cosa fanno e a chi telefonano in un determinato momento. A questo punto, verificato che Mancini non ha nessuna risposta appena verosimile da dare, i pm passano ad altro.
Il PERSONAGGIO
Mancini appare come un uomo spaesato. Fa ammissioni, ma poi non le motiva. E sembra conoscere poco anche la realtà. Il capo del controspionaggio non sa dove è la base militare di Ghedi. Lui che coordina i centri Sismi nord-est non sa fino ad agosto 2003 chi sia Bob Lady (capo Antenna della Cia), non conosce Jeff Castelli (capo stazione Cia di Roma). “Io tuttora non so la differenza fra centro islamico e moschea”.
Addossa molte responsabilità al suo superiore, il generale Gustavo Pignero (“Mi aveva detto che loro (gli americani) volevano prelevare” l`imam. Pochi giorni fa, durante l`incidente probatorio davanti al gip, il maresciallo dei Ros Luciano Pironi, difeso dall`avvocato Salvatore Catalano, è stato l`unico a ricordare il ruolo del defunto Pignero, con una ricostruzione diversa da quella di Mancini che, nell`interrogatorio di luglio, a un certo punto cerca anche di proteggere il suo ex superiore. Quando riferisce che Pignero a sequestro avvenuto gli avrebbe detto “Se lo sono fatto gli americani”, con l`aiuto dell`avvocato subito si corregge “Se lo saranno fatto gli americani. Mi ha detto. Non vorrei che si interpretasse dalle mie parole che il dottor Pignero abbia fatto un`affermazione”. Salva Pignero e il numero uno, Niccolò Pollari, “io riferisco a Pollari”, parla di “riunione con le autorità politiche”, ma quando il gip e i pm incalzano, dice che lui, per ruolo, non poteva sapere certe cose.
LA PERDITA DI MEMORIA
Nell`interrogatorio dell`8 luglio il pm Spataro gli fa notare che non può aver dimenticato l`oggetto di un colloquio importante (“mica un avvenimento sportivo o un film che le era piaciuto”, dice il magistrato) con il colonnello D`Ambrosio, predecessore di Mancini a Milano. “… Magari può sembrare strumentale – premette Mancini – ma glielo dico come dato oggettivo, io ho avuto una perdita di memoria molto forte dovuta a una botta… prima di partire per l`Iraq… sotto Pasqua del 2004… alle quattro è squillato il telefono, sono uscito dalla doccia, ho battuto la testa, sono rimasto a terra tramortito”.
L`AMICIZIA CON TAVAROLI
“Tavaroli, se poteva dare una mano al servizio, la dava, ma come dirigente della Telecom”. Nell`interrogatorio davanti al gip, viene fatto anche il nome di Giuliano Tavaroli, l`ex manager di Telecom e Pirelli ora in carcere per l`inchiesta che corre parallela a quella sul rapimento di Abu Omar e che indaga sul dossieraggio abusivo fatto da Tavaroli (che verrà risentito dai magistrati venerdì) e dal suo amico investigatore privato Emanuele Cipriani. Anche Mancini è indagato per questa inchiesta.
A lui il gip chiede che rapporti ha con Tavaroli. “Lo conosco dal 1981”, risponde l`ex agente Sismi. E, alla domanda se sia vero quello che dice Stefano D`Ambrosio (predecessore dello stesso Mancini come capocentro a Milano) e cioè “che Tavaroli era amico suo, che poteva rivolgersi a lui per poter avere informazioni”, aggiunge: “Beh, sì, insomma, se poteva… ma già da tempo mi ha dato una mano, da prima: la prima spia presa dal servizio me l`ha fatta prendere lui, insomma”. Dove per “prendere”, spiega, non intende la rendition, ma “preso in castagna”.
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