«Combattere l’emergenza del lavoro nero»

by redazione | 8 Ottobre 2006 0:00

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Il governo ha recepito alcune richieste sindacali ma non basta. Alessa

(da “il manifesto”, 8 ottobre 2006)

di Antonio Sciotto


Al problema della sicurezza si intreccia necessariamente quello del lavoro nero: un mondo sommerso fatto di schiavitù e sfruttamento, concentrato soprattutto nei campi e nei cantieri, ma non solo. Le catene di subappalti ormai permettono di trovare «lavoratori invisibili» anche nell’industria e nei servizi. Cosa è stato fatto finora per combattere il nero? Il governo sta mettendo in atto tutti gli strumenti necessari? Ci fa da guida Alessandro Genovesi, del dipartimento politiche attive del lavoro Cgil, tra gli estensori della piattaforma sindacale.
«Una buona parte delle richieste di Cgil, Cisl e Uil è stata già recepita – spiega – ma ci sono ancora molti temi da affrontare e lacune che speriamo vengano colmate: manca, ad esempio, la riforma dell’articolo 18 della legge Bossi-Fini. Il governo avrebbe potuto disporre d’urgenza – rimandando la revisione complessiva – quella misura che concede il permesso di soggiorno agli immigrati in nero che denunciano il datore di lavoro. Oltretutto è anche contenuta nel programma dell’Unione. L’urgenza è evidente a tutti, dati i recenti fatti di cronaca che hanno fatto emergere storie di sfruttamento e caporalato».
Tra i temi che sono stati recepiti dal governo, c’è l’estensione a tutti i settori del Durc (documento unico di regolarità contributiva): «Solo le imprese in regola con i contratti nazionali, i versamenti Inps e Inail possono partecipare ad affidamenti pubblici, avere autorizzazioni e concessioni – spiega Genovesi – Ugualmente è stato esteso a tutti i datori di lavoro l’obbligo di registrare il lavoratore il giorno prima dell’inizio del lavoro, e non più nei 5 giorni successivi, come è stato fino a oggi: accadeva che mentre il lavoratore era al pronto soccorso, partiva il fax di assunzione. E l’Inail registra non a caso che ben il 20% degli infortuni avviene nei primi 5 giorni di lavoro. Ora servono però i moduli per la registrazione, non ancora disponibili. Ancora, sono stati recepiti gli indici di congruità: se ho un albergo di 300 stanze non posso avere 3 camerieri. Apposite tabelle dovranno stabilire una necessaria corrispondenza tra l’entità del servizio erogato o del bene prodotto e il numero di lavoratori presenti. Chi non sarà in regola non potrà accedere agli incentivi economici e normativi: non potrà attivare contratti di apprendistato, né avere fondi comunitari o regionali».
Tra i punti non risolti in finanziaria, c’è la regolarizzazione dei parasubordinati e l’emersione dal nero: «Per chi emerge dal nero si dispone che debba essere assunto a tempo indeterminato e non sia licenziabile per 24 mesi, e questo va bene – spiega l’esponente Cgil – ma in quanto ai contributi si impone all’azienda di versare solo i due terzi di quanto non pagato negli ultimi 5 anni: dunque il lavoratore perde l’altro terzo. Dall’altro lato, per i parasubordinati regolarizzati c’è l’intera ricostruzione dei contributi (due terzi a carico impresa e un terzo Inps), ma al contrario non c’è la norma che impone il tempo indeterminato. E allora noi chiediamo che venga scambiato “il buono” che c’è in entrambe le misure: per emersi e regolarizzati contribuzione piena e assunzione a tempo indeterminato».
Infine i servizi ispettivi. Si chiede la riforma del processo di riscossione (oggi a fronte di 800 milioni di multe se ne incassano uno scarso 10%) e l’abolizione della conciliazione monocratica: il lavoratore, in base alla legge 30, può essere chiamato a conciliare senza l’assistenza del sindacato. Scarso il numero degli ispettori del lavoro: «In Francia – conclude Genovesi – ne hanno 5 mila a fronte di 800 mila lavoratori in nero. Da noi ce ne sono 2500 per 4 milioni di sommersi. C’erano 6 milioni stanziati nel decreto Bersani e zero euro in finanziaria: resta troppo poco».

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