Io, archeologa detenuta nel Cpt. Diario della clandestina per sbaglio

Loading

Mariana Dontcheva, direttrice di un museo in Bulgaria, non aveva il permesso di soggiorno

di ALESSANDRA LONGO “SONO Mariana Dontcheva, curatrice del museo archeologico di Varna, in Bulgaria. Ho perso per cinque giorni la mia libertà, ho deciso di raccontarvi la mia esperienza al Cpt di Ragusa”. Comincia così il diario dell`archeologa finita nell`imbuto nero di un centro di accoglienza italiano. Veniva da Parigi, parla sei lingue, aveva la carta d`identità, ma non il permesso di soggiorno.

Sono Mariana Dontcheva, questa è la storia dei miei cinque giorni senza libertà al Cpt di Ragusa.

Mercoledi, 20 settembre
E` un pomeriggio sereno. Sono a Grosseto a trovare il mio amico che tra qualche giorno dovrà sottoporsi ad un intervento in ospedale. Due carabinieri bussano alla porta di casa e chiedono i nostri passaporti. Li guardano, li sfogliano, poi ci dicono che dobbiamo andare in caserma per firmare dei documenti… Lì mi sottopongono un questionario, chiarisco i motivi del mio arrivo in Italia e compilo i miei dati personali. Firmo anche un altro foglio, mi spiegano che servirà alla questura dove mi dovrò presentare il giorno dopo.
Ci invitano a salire in macchina, partiamo… ma non ci riportano a casa. Chiedo dove stiamo andando, capisco che la destinazione è un`altra caserma . Servono altri accertamenti, i carabinieri dicono che è una procedura standard. Non sono preoccupata, ma un po` sorpresa sì: mi prendono le impronte, mi scattano la fotografia, cose che ho visto fare con i criminali ricercati. Comincio ad essere inquieta, chiedo che cosa sta succedendo. La risposta è sempre la stessa: non si preoccupi, questa è una procedura di identificazione standard, serve per evitare che gli stranieri entrino in Italia con un nome diverso… Sono curiosa, cerco di capire perché, per aver ritardato di qualche giorno la richiesta di un permesso di soggiorno, sono già considerata una persona che tenta di varcare il territorio italiano con un altro nome. Finalmente, dopo otto ore, riusciamo a tornare a casa.


Related Articles

Conetta, il gelo dopo la rabbia nella ex base missilistica

Loading

La salma della giovane ivoriana simbolo della rivolta resta a disposizione dei magistrati. Ha pagato lei il prezzo più alto del business che intreccia politica, coop formato famiglia e interessi privati sui fondi pubblici

Colombia. Abusi e repressione poliziesca contro manifestanti, colpita anche l’Onu

Loading

Pestaggi e spari sui manifestanti, la polizia non ha più limiti e aggredisce anche la missione dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani. Il governo difende gli agenti e accusa le piazze di vandalismo 

Nel cimitero dei clandestini dove le lapidi sono di carta

Loading

La tomba al migrante ignoto. C’è un angolo del cimitero di Scicli, città  barocca celebrata da Elio Vittorini («Forse è la più bella di tutte le città  del mondo. E la gente è contenta nelle città  che sono belle…» ), dove il visitatore s’imbatte in alcune lapidi rudimentali— lastre sottili di marmo sormontate da una tavoletta di legno con un foglio scolorito e strappato— che testimoniano la sepoltura dei clandestini senza nome. Naufraghi dei viaggi della speranza, in quel braccio di Mediterraneo, solcato dai barconi stipati all’inverosimile.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment