Abu Omar, arrestato il numero due del Sismi

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(Corriere della Sera, 6 luglio 2006) Abu Omar, arrestato il numero due del Sismi Imam rapito: in cella Mancini, ai domiciliari il generale Pignero. Ordine di cattura per 4 agenti Usa ROMA – Il Sismi è stato complice della Cia nell’operazione illegale di sequestro dell’imam Abu Omar, rapito a Milano il 17 febbraio 2003 e tuttora prigioniero in Egitto. Per nascondere il reato ed evitare l’arresto, i dirigenti del servizio segreto militare italiano hanno tentato fino all’ultimo di inquinare e depistare l’inchiesta milanese, usando giornalisti amici come spie (ora indagati per favoreggiamento) e intercettando abusivamente una grande firma inserita nell’elenco dei «nemici». Per nascondere queste nuove attività illegali il Sismi ha aperto un «ufficio occulto» in via Nazionale a Roma, con intere stanze piene di dossier minatori o ricattatori che da ieri sono in mano a magistrati e polizia. Con queste accuse sono stati arrestati, ieri mattina, Marco Mancini, capo della prima divisione (controspionaggio e antiterrorismo) del Sismi, e il suo ex superiore diretto, il generale Gustavo Pignero, a cui i giudici hanno concesso i domiciliari per l’età e per le cattive condizioni di salute. Per la stessa accusa-base di concorso in sequestro di persona, aggravato dall’abuso dei poteri di pubblico ufficiale, sono stati invitati a comparire in Procura a Milano, come indagati per il rapimento, altri quattro alti funzionari del Sismi. La prova regina contro i vertici del Sismi è un’intercettazione telefonica in cui Mancini e il generale Pignero, secondo i magistrati, confessano letteralmente, per tre volte, di aver inviato propri uomini a Milano per aiutare la Cia a rapire l’imam. Almeno un altro funzionario del Sismi, Pio Pompa, è accusato di favoreggiamento e di intercettazione abusiva. L’inchiesta sul sequestro eseguito dalla Cia in Italia aveva già portato i magistrati milanesi a ordinare l’arresto di 22 agenti segreti americani, tra cui l’ex capo dell’intelligence Usa a Milano. Le nuove indagini dei pm Armando Spataro e Ferdinando Enrico Pomarici hanno convinto il giudice Enrico Manzi a disporre altri quattro mandati di cattura. I nuovi ricercati sono Jeffrey Castelli, capo della Cia in Italia nel periodo del sequestro, poi promosso a Washington; il colonnello Joseph Romano, all’epoca comandante della base Usa di Aviano, da dove partì l’aereo Cia con l’ostaggio; l’agente Ralph Henry Russomando, che fabbricò un falso dossier per smentire che l’imam fosse mai stato rapito; e la diplomatica Sabrina De Souza, inviata da Roma per vincere le resistenze del capo-antenna di Milano, Robert Lady, che finì per accettare il blitz solo per obbedienza. Salgono così a 28 gli ordini d’arresto per il sequestro dell’imam. I magistrati milanesi elencano in 480 pagine di ordinanza tutti gli indizi che comprovano la complicità dei servizi italiani nel sequestro voluto dalla Cia. Il Sismi, così come il governo Berlusconi, aveva invece sempre negato qualsiasi coinvolgimento e smentito anche solo di aver saputo. La prima crepa nel muro di omertà istituzionale si apre in aprile, nei giorni delle elezioni: un carabiniere del Ros, Luciano Pironi, incastrato dai dati del suo telefonino, confessa di aver partecipato materialmente al sequestro, che per lui era una specie di «prova d’ammissione al Sismi». Il militare aggiunge che il suo reclutatore, Bob Lady, gli confidò di aver tentato di coinvolgere il colonnello Stefano D’Ambrosio (quasi omonimo di un famoso magistrato), all’epoca capocentro del Sismi a Milano. Convocato dai pm, l’ufficiale italiano conferma che nell’ottobre 2002 Lady gli aveva confidato che Cia e Sismi stavano preparando insieme, con sopralluoghi e pedinamenti congiunti, il sequestro dell’imam di Milano. L’uomo della Cia gli fa il nome di Mancini, a cui D’Ambrosio chiede un incontro chiarificatore. Mancini non reagisce: chiede solo se il colonnello l’abbia saputo davvero da lady. Pochi giorni dopo D’Ambrosio viene trasferito d’urgenza dal generale Pignero, che affida il Centro di Milano proprio a Mancini. Sentito in procura, Pignero dapprima nega tutto. Poi chiede un secondo interrogatorio e offre un’altra versione: in dicembre Jeff Castelli della Cia ci ha chiesto informazioni su una decina di sospettati di terrorismo, tra cui Abu Omar; noi le abbiamo raccolte, ma non c’entriamo nulla col sequestro. Il generale però non sa che la Digos di Milano aveva intercettato Mancini proprio mentre lo indottrinava sulla storia da raccontare ai magistrati. I poliziotti a quel punto scoprono che Mancini e Pignero, per precauzione, comunicano attraverso il telefonino di un altro generale del Sismi, Luciano Seno. Per questo il primo giugno, quando Seno passa il cellulare all’altro generale, Mancini si sente sicuro. E rimprovera a Pignero di aver svelato ai magistrati che una squadra del Sismi spiò l’imam. Al telefono del generale, Mancini ripete per ben tre volte che «quelli», cioè gli 007 italiani, sapevano benissimo che la Cia doveva «prendere l’imam» e che lui stesso li aveva avvertiti che «era una cosa illegale!». Paolo Biondani

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