PIEDI PULITI. Torino, la procura e il mercato grigio

by redazione | 21 Maggio 2006 0:00

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(da La Repubblica, DOMENICA, 21 MAGGIO 2006, Pagina 1 – Prima Pagina)

Torino, la procura e il mercato grigio

GIUSEPPE D´AVANZO
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Quale che siano le responsabilità penali di ciascuno, è ormai evidente a tutti che il mondo del calcio è stato uno spazio sociale/economico senza regole e diritto. Un grey market, un mercato grigio, che ha vissuto al di fuori delle preoccupazioni di chi dovrebbe regolamentarne e controllarne le pratiche o sanzionarlo nelle illegalità. Abbiamo visto come fosse partecipe la Federazione calcio (presidente, designatori arbitrali, arbitri, investigatori dell´Ufficio inchieste), distratte le autorità di controllo (Consob, Antitrust), “aggiustata“ parte dell´informazione.
Nel labirinto di questo mondo governato “da sotto“ si è smarrita anche la magistratura torinese. Ora, si sa, i magistrati sono “tecnici“ dal metabolismo fragile. Anche se non esiste l´onnipotenza dell´argomento giuridico, le toghe patiscono ogni interrogazione sulle loro decisioni come se fosse un´offesa. S´indignano, si scandalizzano, s´infuriano. Sono travolte da un umore maligno che scaricano sui dubbiosi. Accade al procuratore generale di Torino, Giancarlo Caselli. In «certe illazioni riguardanti la procura di Torino», egli vede al lavoro un fine oscuro. «C´è qualcosa che mi sfugge», dice.
Nell´Italia prigioniera del meccanismo dell´«organizzazione degli odi» è sempre una tentazione mettersi al riparo con un accorto uso della sindrome del complotto. L´espediente è efficace: permette di eliminare i fatti a vantaggio delle emozioni; l´attualità a vantaggio della storia; la perplessità a favore di certezze acquisite per sempre, in eterno. Soprattutto, apre la strada a chi «prima di studiare, sa già quel che deve dire» (Luigi Einaudi). Al contrario, qui si tratta di «studiare».
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Alla procura di Torino paiono affiorare due discontinuità, per così dire. Una è “interna“. Il procuratore aggiunto Maurizio Laudi è giudice sportivo. Ama la Juve come un innamorato entusiasta. Considera un amico Massimo De Santis, arbitro imbroglione. Ha, come molti altri, un buon rapporto con Luciano Moggi al quale chiede a volte qualche favore (biglietti per la partita, parcheggi riservati nel recinto dello stadio) anche se è consapevole che, prima o poi, dovrà occuparsi anche della Juve. Quanto pesa sui passi del magistrato questa “rete“ di legami affettivi e obbligazioni personali? Per nulla, dice Laudi che ha una storia di magistrato di molti sacrifici, pericoli e successi. Nulla, conferma il procuratore capo Marcello Maddalena. Perché Laudi non ha messo becco nelle indagini contro il “sistema Moggi“ (frode sportiva e corruzione). Dice Maddalena: «In questo caso, di Laudi c´è un´assenza totale». E´ una verità parziale. Forse, la si può definire “corporativa“. Laudi è disposto, in privato, ad ammettere che, in quell´indagine, ha spiegato a Maddalena soltanto «le modalità delle designazioni arbitrali». Altri, nello stesso ufficio, sono disposti a riconoscere la mano di Laudi nelle pagine tecniche del documento che fulmina definitivamente il caso (poi esploso tra le mani dei pubblici ministeri di Napoli). Altri ancora raccontano che, attraverso due fidati pm, Laudi partecipò alle discussioni – coinvolsero anche Giancarlo Caselli – in cui si esaminò l´ipotesi della proroga delle indagini e l´urgenza della loro archiviazione. Negando ogni interferenza, Marcello Maddalena si augura che la sua parola molto influente chiuda l´affare. Non è così. Ha scritto, nell´archiviazione, che «anche se sono emersi fatti penalmente rilevanti, lo scenario è quanto mai inquietante». Con il tempo deve correggersi. Ammette ora che «se il calcio ha assunto contorni inquietanti, sarebbe meglio che, in quel momento, il magistrato fosse estraneo a una simile realtà». Ma si può essere estranei, dopo essere stati intimi? E quanto l´intimità “per prossimità calcistica“ può condizionare l´iniziativa penale di un magistrato? Sarebbe meglio che, anche a quel punto, ci fosse un´estraneità. Purtroppo a Torino non accade. Quando il 9 ottobre del 2005, Lapo Elkann, “giovane leone“ della famiglia Agnelli e in pectore presidente della Juve, viene ricoverato al Mauriziano per overdose, gli “atti“ sono consegnati dalla Questura al procuratore Laudi, capo della Direzione distrettuale antimafia.
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E´ la seconda discontinuità. Esterna. La procura sembra patire l´ambiente. Nei canoni decisori dell´ufficio del pubblico ministero di Torino sembrano contare le persone indipendentemente dai fatti da vagliare. Su tutti, conta la Famiglia Agnelli, come si dice, con la f maiuscola. Contano i suoi interessi che direttamente decidono degli interessi della città, della regione, di migliaia di famiglie (con la f minuscola) e naturalmente equilibri, poteri, accordi non scritti, regole condivise di buon vicinato. In questo contesto, da spettatore impassibile quale dovrebbe essere, la toga diventa «campione del sistema» e la giustizia stanza di compensazione dei conflitti. Nessuno, di quelli che conta, “deve farsi male“. Da questo punto di vista, nelle inchieste intorno al calcio, qualcosa si scova. Il patron del “Torino calcio“ nel 2005, per sollecitazione della Fiat/Juve, è Franco Ciminelli. Sfrutta il decreto “spalmadebiti“ con una falsa fidejussione per 15 milioni di euro affidata all´Agenzia delle entrate. Ne nasce un´accusa di falso e truffa all´erario. L´indagine vivacchia stancamente senza costrutto e iniziativa. Doppi gli interessi in ballo. Il destino del Toro, a cui lavora anche il sindaco della città, e le sorti dell´Ergom, la società di Ciminelli. Un´accelerazione avrebbe potuto spingerla verso il fallimento. Fallita l´Ergom, che produce e assembla a Borgaro componenti in plastica delle auto Fiat, i tempi della nuova Punto della Casa sarebbero andati a ramengo. Ancora. Da Como giungono a Torino le carte dei bilanci farlocchi. Con il Como di Preziosi, la Juve realizza «operazioni incrociate che influenzano positivamente i bilanci con l´iscrizione di poste sopravalutate». Il trucco è diffuso. Moggi, dinanzi ai giudici lombardi, lo ammette: si sopravvaluta il valore del giocatore e la plusvalenza finisce nel bilancio che diventa brillante. L´istruttoria potrebbe muoversi come un coltello nel burro. S´inchioda come una spada nella roccia, per rianimarsi (inutilmente e spettacolarmente) in questi ultimi giorni.
Marcello Maddalena va in collera per i rilievi. Ribatte colpo su colpo con interviste. Replica: «Il processo sul doping juventino si è tenuto in questo palazzo». E´ vero, ma è anche vero che al pubblico ministero che lo ha condotto, Raffaele Guariniello, sono dedicati i severi giudizi che accompagnano l´archiviazione dell´ultima indagine. Suonano così: «Le inchieste giudiziarie, anche quelle dirette a “prendere“ notizia dei reati, non possono e non debbono né procedere per intere categorie di indagati (da criminalizzare) né per “fenomeni“ da estirpare». Come il doping sportivo, per esempio. Il monito è molto corretto, ma ci si chiede se la regola vale per tutte le categorie di indagati e tutti i fenomeni o soltanto per quelli che possono scuotere l´aristocrazia della città. Replica Maddalena: «I magistrati di questa procura, tra i quali il sottoscritto, sono gli unici che abbiano chiesto e ottenuto la condanna di Cesare Romiti per falso in bilancio. Quand´era amministratore delegato della Fiat, azienda che a Torino mi risulta abbia una certa importanza». Questa volta è Romiti che non ci sta. Prende carta e penna. Rivendica che in Cassazione è stato assolto (è stata riformata la legge sul falso in bilancio), ma soprattutto tiene a dire che «nelle indagini della Procura ci furono diverse anomalie: voglio ricordarne almeno una e cioè che non sono mai stati sentiti – neppure come persone informate dei fatti – né il presidente della Fiat, Giovanni Agnelli, né Umberto Agnelli che è stato, prima, amministratore delegato della Fiat e, poi, presidente di Fiat Auto». Maddalena non reagisce. Si chiude in un silenzio imbarazzato.
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La questione rimane aperta sul tavolo: quale uso della sua indipendenza fa la magistratura di Torino? Quali sono l´economia, la strategia, i modelli culturali che informano il lavoro di quei pubblici ministeri? Quale “ordine“ costruisce e difende la macchina giudiziaria di Torino? Lo scandalo del calcio custodisce nei suoi sotterranei molti temi. Uno dei più succosi lo si rintraccia dalle parti dei palazzi di giustizia. Un controllo di legalità meno fluido avrebbe potuto evitare la catastrofe che abbiamo sotto gli occhi? Discuterne non può essere offesa per alcuno. A meno di non voler pensare che sia soltanto Luciano Moggi l´assoluto male. Se estirpato, gli infermi – lo spettacolo, i bilanci, la reputazione degli addetti, i valori correnti e le istituzioni – possono ritornare in buona salute. Come per un miracolo.

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