DIRITTI. “Noi, mai più mutilate“ la sfida delle donne del Mali

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(da La Repubblica, MERCOLEDÌ, 08 MARZO, 2006, Pagina 27 – Esteri)

“Noi, mai più mutilate“ la sfida delle donne del Mali

Contro i cambiamenti si battono gli imam più conservatori
Qui il 92 per cento delle bambine subisce l´infibulazione

DAL NOSTRO INVIATO
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FRANCESCA CAFERRI
BAMAKO – La sua scelta di vita Bakary Diarra la porta impressa addosso: «Mia figlia non sarà mutilata» recita la camicia che indossa. Cammina fra i sentieri del villaggio di Sakinèbongou, a una quarantina di chilometri da Bamako, capitale del Mali, tenendo per mano le figlie Fatmata e Jara. A sette e quattro anni sono troppo piccole per capire cosa vuol dire quella scritta per il loro futuro. Il padre invece lo sa benissimo: «Non voglio che soffrano, né che si ammalino. Ne abbiamo discusso a lungo nel villaggio, e siamo tutti d´accordo: qui da noi l´epoca in cui le bambine venivano tagliate è finita per sempre».
La decisione di Bakary Diarra e dei suoi compaesani è un´eccezione: in Mali il 92% delle donne e delle bambine hanno subito la mutilazione genitale femminile, il 60% vengono “tagliate“ prima di compiere i cinque anni. In tutto il mondo, secondo le stime dell´Unicef, 130 milioni di donne e bambine sono vittime di questa pratica: l´uso di tagliare la clitoride e di cucire le labbra della vagina, lasciando aperto soltanto lo spazio necessario per far passare l´urina e il sangue mestruale, fa parte di una tradizione antica, tesa a preservare la “purezza“ delle donne e prepararle al matrimonio. Solo negli ultimi anni l´attenzione si è concentrata sulle conseguenze: emorragie, infezioni, dolori sono solo i primi sintomi. Col tempo, le donne che da bambine hanno subito l´escissione soffrono durante i rapporti sessuali, hanno difficoltà nel parto e un´alta possibilità di partorire feti morti o di morire esse stesse.
È per questo che un numero sempre maggiore di donne, in Mali come negli altri paesi dove la pratica è diffusa, si battono perché sia abbandonata: a contrastarle ci sono le parti più conservatrici della società, spesso appoggiate dal clero musulmano. Per tradizione è al Corano che si fa risalire l´uso dell´escissione, anche se in realtà nel libro sacro dell´Islam del taglio non c´è parola. Per questo negli ultimi anni molti religiosi hanno pubblicamente preso posizione contro le mutilazioni: eppure il messaggio fatica a passare, e tanti imam continuano a rivendicare la necessità del taglio.
Mohamed Djallo fa eccezione: nei giorni scorsi è stato lungamente applaudito quando è salito sul palco della conferenza sulle mutilazioni genitali femminili organizzata dal governo del Mali e dall´ong “Non c´è pace senza giustizia“. «Allah ha detto di aver creato la donna perfetta. Non ha detto che per renderla più perfetta occorre tagliarla», ha detto l´imam. Ma la sua posizione, appunto, è un´eccezione: buona parte dei religiosi invitati hanno scelto di disertare l´incontro e i giornali e le radio conservatrici lo hanno apertamente criticato. «Sono convinti che il Corano raccomandi l´escissione – spiega l´imam Djallo, che per le sue posizioni è stato espulso dalla federazione delle guide religiose maliane – basterebbe che lo leggessero davvero, per capire che non è vero. È una questione di ignoranza quella che sta condannando le nostre donne a sofferenze indicibili».
La pensa così anche Kadija Sedibè, presidentessa dell´ong maliana Amsopt: è grazie al lavoro di persone come lei se tanti villaggi in Mali negli ultimi anni hanno detto no alle mutilazioni. «È una lotta lunga – racconta – a Sakinèbongou ci abbiamo messo cinque anni a far comprendere le conseguenze mediche dell´escissione. Ma quando il quadro è stato chiaro sono stati gli abitanti a scegliere di smettere: è una decisione che nessuno può imporre». Kadija ammette che con il sostegno dei religiosi tutto sarebbe più semplice, ma è rassegnata: «Non capiscono. Noi ci battiamo perché le nostre bambine non debbano soffrire, non perché tradiscano i valori dell´Islam», dice. La battaglia contro le mutilazioni in molti paesi è diventata anche questo: un braccio di ferro fra l´Islam più oscurantista e quello più aperto. A perderla ogni anno sono tre milioni di bambine: tante, secondo le stime dell´Unicef, vengono escisse in dodici mesi.
Vincere la sfida a Sakinèbongou è stato più facile perché il paese è piccolo e non ci abitano né imam né “tagliatrici“ (le donne che effettuano materialmente l´operazione). Ma se i villaggi vicini non accetteranno la scelta di Sakinèbongou, nessuno potrebbe volere Fatmata, Jara e le altre ragazzine come mogli quando per loro verrà l´ora di sposarsi. Oppure la famiglia dello sposo potrebbe costringerle al taglio subito dopo le nozze. Un rischio che Bakary Diarra ha ben presente: «Fino a quando sono qui, sarò io a decidere per loro. Ma quando saranno andate via, se gli altri villaggi non condivideranno la nostra scelta, potrò fare ben poco per difenderle».

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