by redazione | 10 Marzo 2006 0:00
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(dal Corriere della Sera, 10 marzo 200)
Entro tre mesi gli americani abbandoneranno la prigione presso Bagdad che fu teatro di torture sistematiche da parte dei militari Usaz
Chiude Abu Ghraib, il carcere degli orrori
I detenuti trasferiti in un’altra struttura. Impiccati 13 ribelli iracheni
Anche se le sentinelle con il fucile M4 e la faccia da marines si apprestano a lasciare dopo tre anni di ronde le 24 torrette di guardia, tra mezzo secolo i libri parleranno di Abu Ghraib come di una storia americana, una storiaccia da illustrare con le foto di sorridenti aguzzini e prigionieri iracheni nudi al guinzaglio di una soldatessa, una certa Lynddie England. Abu Ghraib è anche – en passant – l’ex casa di torture di Saddam Hussein, quella dove furono uccise di botte e gettate nel tritacarne le vittime di Dujail per le quali ora il dittatore è sotto processo. Avrebbero dovuto buttarla giù subito, farne un luogo di vuoto e memoria. Abu Raya che ha quarant’anni ricorda: sotto Saddam i bambini che andavano a trovare i padri ad Abu Ghraib venivano poi marchiati con l’inchiostro indelebile e diventavano degli appestati. Non sarà distrutta come predisse il presidente George Bush nel maggio 2004, sull’onda dello scandalo degli abusi. I comandi Usa a Bagdad annunciano che tra due o tre mesi sarà riconsegnata alle autorità irachene. I 4.500 detenuti (sospetti guerriglieri) finiranno a pochi chilometri di distanza, ancora in mani americane, nelle celle di una struttura in costruzione nella grande base che circonda l’aeroporto di Bagdad. A Camp Cropper, l’attuale prigione di 127 gerarchi tra cui lo stesso Saddam.
Lasciare Abu Ghraib, prendere le distanze da un luogo diventato simbolo nefasto della presenza americana in Iraq. Questione di immagine? «No, questione di sicurezza» ha spiegato il colonnello Barry Johnson nella Green Zone, la cittadella fortificata lungo il Tigri. «Abu Ghraib è in una zona vulnerabile agli attacchi ed è molto difficile da gestire». Certo «ci sarebbero anche considerazioni di carattere emotivo da fare – ammette Johnson pur senza citare lo scandalo delle torture – ma la ragione primaria è la sicurezza».
Se Johnson ha ragione, questo trasferimento è il segno dello stallo in cui si trovano le forze Usa. E forse vuol anche essere un’apertura ai sunniti (la maggior parte dei detenuti). Abu Ghraib – a una ventina di chilometri dal centro, lungo l’autostrada che porta nel Triangolo Sunnita – è una delle zone più violente di Bagdad. Prima della guerra, le forze speciali Usa trovarono rifugio e protezioni. Altri tempi. Gli attacchi della guerriglia si susseguono da anni. Nell’aprile 2004 un assalto di mortaio uccise 22 prigionieri. Un anno fa lo stesso colonnello Johnson parlò del piano per lasciare i 280 ettari della prigione più famigerata dell’Iraq, una delle quattro basi carcerarie sotto il controllo della forza multinazionale (Mnf).
Pochi giorni fa Amnesty International ha denunciato che torture e abusi sui prigionieri «sotto gli occhi della Mnf» non sono cessati. Certo Lynddie England e gli altri sei «torturatori semplici» (nessun ufficiale tra loro) sono stati processati e condannati. Però «oltre Abu Ghraib» le violazioni dei diritti umani continuano.
Adesso «oltre Abu Ghraib» ci sarà Camp Cropper, la prigione più sicura. E ancora Abu Ghraib: è probabile che questa struttura costruita da un’azienda britannica negli Anni ’60 continuerà ad avere la stessa funzione. Sarà anche un luogo di punizioni capitali. Proprio ieri il governo di Bagdad ha annunciato l’impiccagione di 13 persone condannate per aver fatto parte della guerriglia. Ad Abu Ghraib c’è ancora la stanza del capestro, la botola dove caddero migliaia di oppostori di Saddam, il tavolo dove un medico controllava i decessi. Non è un museo degli orrori. Tra qualche mese potrebbe tornare tutto in funzione.
Michele Farina
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