SANITA`. Le mani dei partiti sul Servizio sanitario.Articolo di Pirani

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(La Repubblica, LUNEDÌ, 27 FEBBRAIO 2006,
Pagina 1 – Prima Pagina)

LA POLEMICA

Le mani dei partiti sul Servizio sanitario

MARIO PIRANI
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“Senatores ruere in servitium“ scriveva Tacito, stigmatizzando il decadere del Senato, un tempo orgoglioso fulcro politico di Roma. Ma almeno quei padri coscritti, dimentichi del loro ruolo, si precipitarono al servizio dell´imperatore Caligola, in preda alla paura o a cupidigia di servilismo, mentre gli attuali inquilini di palazzo Madama e di Montecitorio oltraggiano talvolta la fiducia accordata dai cittadini semplicemente per votare indecorose leggine escogitate a loro esclusivo uso e consumo. Così è avvenuto, ad esempio, il 14 dicembre al Senato e il 24 gennaio alla Camera quando in un provvedimento riguardante gli Ordini professionali medici e infermieristici sono state infilate due righe che permettono agli ex parlamentari e agli ex consiglieri regionali di essere nominati direttori generali, direttori sanitari e direttori amministrativi delle Asl, a prescindere da qualsivoglia competenza specifica in materia. Al Senato l´approvazione è stata unanime.
zAnche se il verbale della seduta non riporta l´esito della votazione per alzata di mano mentre alla Camera su 382 presenti e 368 votanti, i “sì“ sono risultati 366 e i “no“ 2; gli astenuti 14.
Insomma una quasi perfetta intesa bipartisan di fine legislatura per assicurare, quale che sia l´esito delle elezioni, uno sbocco ben remunerato a un certo numero di trombati. La cosa è stata portata a termine in modo così felpato che taluni parlamentari dabbene, personalmente interpellati, mi hanno confessato che si erano adeguati alla disciplina di gruppo senza accorgersi di quel che c´era scritto nella legge.
È, comunque, evidente l´assoluta noncuranza, sia del centrodestra che del centrosinistra, di fronte alle esigenze di buon governo delle aziende sanitarie pubbliche, considerate prioritariamente un demanio partitico soggetto alla più rigorosa legge spartitoria nello spregio assoluto delle competenze professionali che quegli incarichi comporterebbero. Per questo mi ha deluso (Repubblica del 21 us) la risposta di Rosy Bindi (che assieme a Maura Cossutta ha materialmente redatto le poche pagine dedicate alla sanità nel programma dell´Unione) alle critiche del nostro Sebastiano Messina per il silenzio sulle liste di attesa, uno dei temi più sentiti dai cittadini, come risulta dall´ultima indagine Censis. Ma se questo silenzio sottende (?), come tenta di spiegare la ex ministro, un avvio di soluzione del problema quando, stando alle promesse del centrosinistra, molte prestazioni saranno decentrate dagli ospedali, oggi intasati, ai potenziati servizi sociosanitari territoriali, quale spiegazione fornisce Rosy Bindi, e con lei tutti gli altri leader dell´Ulivo e dintorni, dell´afonìa ancor più assordante sulla lottizzazione politica imperante a tutti i livelli, dalle direzioni generali ai primariati e sottoprimariati, fino agli ambulatori territoriali delle Asl? Di ciò nelle 281 pagine della summa elettorale del centrosinistra non si fa cenno, a meno che non ci si voglia accontentare della frase, che abbiamo scoperto dopo attenta ricerca in fondo a pag. 180 dove, tra i fattori negativi del welfare sanitario, si individua «il malessere dei professionisti, causato dalla crescente precarizzazione dei rapporti di lavoro, dal peso eccessivo dei direttori generali e da uno scarso coinvolgimento nella vita delle aziende sanitarie». Solo Tartufo avrebbe saputo escogitare una prosa così prudente per segnalare la profonda frustrazione dei medici di fronte all´invasione partitica delle corsie.
Eppur uno stentoreo «giù le mani dalla Sanità!» avrebbe dovuto risuonare come il punto prioritario del programma del centrosinistra, la condizione indispensabile – oltre tutto gratuita – per attuare quelle altre pregevoli indicazioni esplicitamente indicate (le cure a domicilio, il Fondo per gli anziani, il Piano straordinario per la salute nel Mezzogiorno, la prevenzione, ecc.). Tutte cose che, senza quella premessa, rischiano di trasformarsi in nuovi terreni di conquista e spartizione. Ma, soprattutto, l´impegno a debellare la partitocrazia nella sanità e a rispettare le qualità professionali del medico cui il paziente viene affidato, segna il crinale che dovrebbe differenziare il centrosinistra dal centrodestra. Il quinquennio berlusconiano ha segnato, infatti, l´acme del dominio partitocratico. Se sul piano nazionale la maggioranza ha inflitto con la devoluzione un colpo grave all´«eguglianza sanitaria» dei cittadini, nelle Regioni da essa governate la manomissione politica ha raggiunto inediti primati. Mentre Formigoni in Lombardia imponeva, quasi come un titolo accademico, l´adesione a Comunione e Liberazione per accedere alle vette apicali, nel Lazio Storace aggiornava il manuale Cencelli con il coefficiente 3: se il direttore generale spettava ad An, il direttore sanitario e quello amministrativo toccavano a Forza Italia e all´Udc. E viceversa. Le nomine dei primari seguivano a cascata con una angosciata rincorsa dei candidati, anche i migliori, a “targarsi“ presso l´una o l´altra “ditta“ politica per far valere i propri meriti professionali. Ma l´appetito dei partiti è andato sovente molto al di là dei posti da assegnare.
Storace sollecitava allora i direttori generali ad accontentare gli aspiranti delusi con la nomina a “primarietto“, un incarico che suddivide l´unità organica del servizio (ad esempio, cardiologia) in tanti mini comparti parcellizzati. Con la conseguenza che il primario viene esautorato e il servizio reso inefficiente, ma lo spezzatino risulta politicamente appetibile.
Una filosofia che ha portato i direttori generali a promuovere in ogni Asl centinaia di “primarietti“, magari con solo un paio di letti ciascuno. Il risultato è stato catastroficho anche dal punto di vista amministrativo.
Storace, che aveva annunciato per il 2003-2004 un deficit di bilancio di 860 milioni, ha lasciato l´incarico con un buco di 2 miliardi e 91 milioni di euro e uno sfondamento delle previsioni di 1231 milioni. In questo ambiente sono fioriti, inoltre, gli imbrogli, le fatturazioni duplicate, le tangenti con un ammanco finora accertato dalla magistratura di altri 70 milioni.
A chi segue da anni le vicende del Servizio sanitario nazionale, l´esito di nomine, affidate in toto ai direttori generali e sottratte alla natura oggettiva di concorsi organizzati con criteri rigorosi, era purtroppo prevedibile e non si era mancato di denunciarlo da queste colonne. Certo, laddove le amministrazioni di centrosinistra (in Toscana, Umbria, Emilia) hanno operato con serio impegno, successi di alta qualità non sono mancati e i bilanci sono stati salvaguardati dai disastri verificatisi altrove, purtuttavia anche in quelle condizioni di eccellenza il meccanismo stesso si prestava e si presta ad ogni eccesso partitocratico. Nei mesi scorsi, in vista delle elezioni, ne abbiamo parlato personalmente con Prodi, Fassino, D´Alema, Rutelli, Bertinotti e Livia Turco, tanto per fare qualche nome fra i più autorevoli e responsabili. Tutti, nessuno escluso, hanno detto di convenire con l´analisi del nostro giornale. Tutti, nessuno escluso, hanno detto che si sarebbero fatti promotori di una svolta netta. All´assemblea nazionale ds dedicata alla Sanità il principio è stato ribadito. Poi debbono aver fatto tutti, nessuno escluso, un tuffo simbolico nel Lete, il fiume infernale della mitologia, le cui acque davano, a chi ne avesse bevuto, la facoltà dell´oblìo.
Come spiegare altrimenti che di quell´impegno, proclamato a gran voce, non si trovi la minima traccia nel librone dei buoni propositi che tutti hanno solennemente firmato a piazza Santi Apostoli? Esiste, peraltro, una prova che non si è trattato di un illusorio equivoco. Proprio mentre mi accingevo a scrivere questo desolato articolo, una confortante telefonata di Antonio Bassolino da Napoli mi ha ridato fiducia. La maggioranza di centrosinistra della Regione campana ha, infatti, approvato (contraria la CdL) una legge che introduce criteri selettivi nelle nomine dei primari mentre riduce la discrezionalità dei manager nella scelta dei direttori sanitari che dovranno essere selezionati da un apposito album con stretti criteri di competenza. Per i primari viene introdotto un concorso con graduatoria in base a un punteggio prestabilito (50 punti per titoli professionali e attività direzionali, 25 punti per pubblicazioni e studi, 25 punti per la prova orale, a nostro avviso francamente pleonastica dato il livello di partenza). La commissione di valutazione, costituita dopo la scadenza dei termini per la presentazione delle domande, è composta dal direttore sanitario e da due primari di ruolo del Servizio nazionale, scelti per sorteggio da un apposito elenco relativo alla specialità interessata (ad esempio l´albo dei cardiologi se si deve nominare un cardiologo). L´incarico di primario ha una durata, rinnovabile a seconda dei risultati, di 5 – 7 anni.
È uno schema che introduce per la prima volta criteri di nomina oggettivi e rispettosi delle competenze, anche se qualche punto andrebbe meglio precisato, in primis l´obbligo da parte del direttore generale di rispettare la graduatoria, per cui il primo non possa essere scavalcato con motivazioni surrettizie da concorrenti in posizione inferiore. Nel commentare la nuova legge regionale il presidente Bassolino ha affermato: «È una scelta di grande rinnovamento che tiene la politica davvero lontana dalla scelta dei primari».
Se, come dicevano i classici del socialismo scientifico, la qualità di un dirigente politico si misura dalla capacità di correggere i propri errori, l´iniziativa di Bassolino potrebbe rappresentare davvero l´avvìo di una svolta per tutto il centrosinistra.
All´inizio dell´anno, infatti, proprio la Giunta della Campania entrò in crisi per la nomina di 12 manager delle Asl in base ad un accordo dietro le quinte tra Bassolino, De Mita e Mastella che i partiti minori della coalizione giudicavano penalizzante, tanto che l´assessore dello Sdi si dimise. La vicenda della “notte delle nomine“ finì su tutti i giornali e rinfocolò una polemica scoppiata solo due mesi innanzi, quando erano state pubblicate le intercettazioni di un parlamentare ds che insolentiva il manager di una Asl locale per aver nominato un direttore sanitario al di fuori delle direttive di partito. La nuova legge lascia sperare che questo malcostume sia ormai alle spalle. Talvolta davvero «oportet ut scandala eveniant».

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