SALUTE. La mappa e i dati di Osservasalute

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(La Repubblica, VENERDÌ, 17 FEBBRAIO 2006,
Pagina 18 – Cronaca)

Italia, il maschio riscopre la salute

Uomini più attenti e longevi, si riduce il gap con le donne

Italia, la mappa della salute maschi più attenti, migliora il Sud

Il Rapporto 2005 della Cattolica: al Meridione resta l´emergenza per cesarei e mortalità infantile

MARIO REGGIO
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ROMA – Il sistema sanitario italiano mantiene il secondo posto a livello mondiale sancito nel 2000 dall´Oms, ma non migliora. Troppe ancora le differenze tra le Regioni del Centro Nord e quelle del Sud, anche se anche in quelle meridionali non mancano centri d´eccellenza. È in sintesi il risultato del Rapporto Osservasalute 2005, 382 pagine di analisi di dati sulla salute e la qualità dell´assistenza nelle Regioni italiane. L´analisi è stata effettuata da 200 ricercatori che collaborano con l´Osservatorio nazionale dell´Università Cattolica di Roma.
Il Rapporto prende le mosse dalle cose che stanno cambiando. In primo luogo cresce il numero degli anziani, quindi il sistema sanitario dovrà sempre di più fare i conti con l´aumento prevedibile dei malati cronici. Sale la speranza di vita. Le donne sono sempre in testa, ma si riduce il gap con gli uomini. I maschi, infatti, stanno lentamente recuperando terreno adottando stili di vita più salubri che non in passato: smettono di fumare in numero crescente, stanno più attenti all´alimentazione e alla forma fisica. Una tendenza confermata anche dall´analisi delle varie tipologie di tumore. Il numero dei casi rilevati resta costante, aumenta la possibilità di guarigione, diminuiscono i casi tra gli uomini, crescono al Sud. Nelle regioni meridionali, infatti, l´alimentazione si sta modificando gradualmente: sempre più persone abbandonano la dieta mediterranea e si uniformano al consumo dei prodotti meno genuini e conservati.
«Quello che emerge dal Rapporto 2005 non è solo il gradiente Nord-Sud – spiega il professor Walter Ricciardi, direttore dell´Istituto di Igiene dell´Università Cattolica di Roma e direttore dell´Osservatorio nazionale sulla Salute nelle Regioni – ma uno scenario più complesso e variegato. Emergono cioè i dati positivi complessivi, che sottolineano come le performance del nostro Sistema sanitario nazionale siano buone in alcune Regioni ed in alcuni settori addirittura eccellenti. Ma non mancano – conclude – i settori critici che impongono interventi urgenti di miglioramento».
Uno di questi riguarda la mortalità infantile. Per il 2002 il dato nazionale risulta di 4.1 ogni mille nati vivi. Ma c´è ancora una differenza insostenibile tra il minimo della Toscana ed il massimo di 6.9 in Basilicata. Altrettanto critiche le variazioni riferite ai parti cesarei. «Il ministero della Salute ha fissato il valore di riferimento dei parti cesarei al 20 per cento del totale – afferma la professoressa Roberta Siliquini, docente dell´Istituto d´Igiene dell´università di Torino – questo l´obiettivo da raggiungere in base al Piano sanitario nazionale 2003-2005. Invece, nel 2003, più di un parto su tre è stato cesareo: il valore nazionale è del 36.6 con un aumento del 5.2 per cento rispetto al ‘98. Si va da poco meno del 20 per cento della provincia di Bolzano al 51.2 della Basilicata». Ma a dimostrazione delle contraddizioni del sistema, in Basilicata lo screening dei tumori ha raggiunto livelli d´eccellenza, con totalità delle donne tra i 50 e 69 anni per il seno.
Tra i settori di eccellenza spicca quello dei trapianti d´organo. In poco più di dieci anni, da fanalino di coda in Europa, l´Italia è saldamente al secondo posto alle spalle della Spagna. È la dimostrazione che, quando esiste un sistema ben organizzato di relazioni tra le Regioni, i problemi sanitari si affrontano molto meglio e danno ottimi risultati. «Spetterà alle stesse Regioni – conclude il professor Ricciardi – concordare le modalità di questa indispensabile attività di coordinamento, costruendo rapporti sinergici con le istituzioni centrali, per salvaguardare l´unitarietà e l´equità del sistema sanitario nazionale».

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VENERDÌ, 17 FEBBRAIO 2006

Pagina 19 – Cronaca

TUMORI, UNA CONFERMA: IN CALO LA MORTALITÀ

Rovesciato il destino dei malati, almeno per chi è colpito dai cosiddetti “big killer“

UMBERTO VERONESI
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Nel Rapporto Osservasalute ci sono due dati particolarmente significativi per la lotta contro il cancro nel nostro Paese. E sono entrambi positivi. Il primo riguarda la mortalità. Il rapporto italiano conferma infatti la storica inversione di tendenza che si è verificata prima in America e poi Europa a cavallo dei due secoli, quando per la prima volta la mortalità per tumore ha iniziato a diminuire. Bisogna precisare che l´aumento del numero totale delle morti per cancro che la ricerca riporta è dovuto esclusivamente all´invecchiamento della popolazione, cioè al fatto che un maggior numero di persone arriva all´età in cui ci si ammala di più. Se esaminiamo però il numero di decessi per fascia d´età, scopriamo che davvero abbiamo raggiunto l´obbiettivo di rovesciare il destino dei malati di cancro, almeno per chi è colpito dai cosiddetti “big killer“: tumore del polmone, del colon, del seno e della prostata. Con un´unica grande eccezione: il cancro polmonare, la cui mortalità nell´uomo negli Stati Uniti e recentemente anche in Italia è diminuita significativamente, mentre nelle donne ha raddoppiato le sue vittime nell´ultimo quarto di secolo e continua il suo trend epidemico, sostenuto dal numero di donne che non smettono o che, anche giovanissime, iniziano a fumare.
Non c´è dubbio che è la diffusione della cultura della prevenzione e diagnosi precoce che ha permesso la riduzione della mortalità in Italia come nel resto dell´Europa; ma per la sigaretta le italiane, inspiegabilmente, fanno un´eccezione. Non è così infatti per quello che è ancora oggi il big killer femminile: il tumore del seno. Proprio a questo riguardo mi ha colpito un secondo dato dell´Osservasalute 2005: la partecipazione allo screening. Penso che l´obiettivo di un´adesione globale allo screening mammografico del 50%, come menzionato da Pietro Folino Gallo, sia assolutamente soddisfacente, perché a questa percentuale va aggiunta una frazione del 10, 15% di donne che attua uno screening spontaneo, cioè si controlla sistematicamente senza partecipare ad un programma strutturato. Bisogna pensare che 10 anni fa questa adesione non superava il 20% delle donne e che già possiamo dire, studiando l´andamento delle curve attuali, che nel sarà l´80% a partecipare alla diagnosi precoce. Certo rimarrà sempre, sono convinto, una percentuale di donne (diciamo intorno al 10, 15%) che invece rifiuterà la diagnosi precoce per filosofia di vita, per una sorta di fatalismo profondo che fa accettare anche le peggiori avversità, come la malattia, come necessità ineluttabili del destino. E in questo non esiste differenza fra Nord e Sud.
Tuttavia la tendenza di pensiero e comportamento predominante nelle italiane è a favore della diagnosi precoce e questo è di un´importanza fondamentale perché permette a noi medici di migliorare l´efficacia della cura e la qualità di vita delle nostre pazienti.

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