LIBRI. Il sindacato degli indisciplinati. Antipazione di Epifani e Foa

by redazione | 21 Febbraio 2006 0:00

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(La Repubblica, MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2006, Pagina 52 – Cultura)

Il sindacato degli indisciplinati

Vittorio Foa e Epifani a confronto

Un viaggio nella storia della Cgil attraverso le trasformazioni del Paese: da quando il lavoro era solo fatica ad ora che è diventato sapere
Epifani: “Oggi le trasformazioni sono più ardue del passato“
Foa: “E´ importante che i compagni pensino con la propria testa“
Epifani: “Adesso il lavoro non viene più considerato centrale“
Foa: “Le battaglie per la parità? Non capivamo le differenze delle donne“

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Esce oggi in libreria “Cent´anni dopo/Il sindacato dopo il sindacato“ di Guglielmo Epifani e Vittorio Foa (Einaudi, pagg.107, euro 8) di cui anticipiamo una parte.

EPIFANI. Il sindacato nasce come rete di solidarietà, unità, alleanza e come possibilità di dare una risposta alla fiducia e ai bisogni di molti. A differenza di altri paesi, abbiamo in Italia una grandissima domanda di sindacato. Vi partecipano milioni di persone, di ogni generazione, di ogni condizione sociale e culturale, legate fra di loro da qualcosa che va al di là di un obiettivo immediato. Aumentano gli iscritti al sindacato, in tanti partecipano alle elezioni delle rappresentanze nei luoghi di lavoro; l´adesione agli scioperi è sempre significativa, e ai servizi del sindacato si rivolgono tutti coloro che hanno un problema o un´esigenza. Ma tutto questo – domande, bisogni, risposte e proposte – richiede un orizzonte di fiducia. Perché tutto può permettersi il sindacato – compresi gli errori – , ma non la rinuncia o l´assenza di una prospettiva credibile di cambiamento, e quindi di un ragionevole e condiviso atto di fiducia nel futuro.
Nelle tue parole dirette ai giovani di oggi c´è un invito pressante a riflettere sulla propria identità sociale e sul proprio futuro. Rimettere al centro la questione del lavoro è necessario. Anche per questo. Tra molte altre cose, il Novecento è stato anche il secolo del sindacato e del lavoro. Oggi sembrano prevalere ideologie e interessi che cercano di sostituire alla centralità del lavoro, la centralità del mercato o della finanza o di altro ancora. Il lavoro viene molto spesso considerato come una funzione residuale, dipendente, sbiadita. Dare una risposta diversa a questa rimozione del tema del lavoro è necessario. Anche per poter distinguere in modo chiaro ed efficace il problema della precarietà dal tema della flessibilità del lavoro. La flessibilità in quanto tale non incorpora necessariamente la precarietà. (…) Occorre ridare al lavoro quel senso pieno di diritti, responsabilità, valori: ed è questa la grande questione aperta di fronte al movimento sindacale. Qui da noi e ovunque nel mondo.
FOA. Il tuo discorso mi ricorda tra l´altro alcuni passaggi importanti in momenti più recenti del sindacato, nella Cgil che frequentavo come organizzatore sindacale. Era il 1948.
Erano i tempi di Di Vittorio, con il quale ho avuto la fortuna di lavorare per parecchi anni. Parlo di fortuna perché per me lo è stata davvero. Allora, quando mi guardavo attorno, com´era la condizione del lavoro umano? Era prevalentemente fatica, spesa del tempo, spesa dell´energia: fatica, e anche rischio, insomma. Questa modalità, nello spazio di cinquant´anni, è profondamente cambiata. Il sindacato ha attraversato due mondi completamente nuovi. In un primo tempo il mondo della meccanizzazione, e comunque dell´espansione enorme dell´industria. Nel 1948 eravamo ancora in una società prevalentemente agricola. Le memorie sindacali erano prevalentemente quelle dei braccianti. (…) Anche i morti nelle lotte di lavoro erano prevalentemente contadini. Poi la lotta si è spostata e abbiamo avuto un´enorme espansione dell´industria. La Cgil ha vissuto questo cambiamento in un modo in un certo senso tranquillo: non ha diminuito le sue forze, anzi le ha aumentate, ha misurato se stessa in questo cambiamento, che è stato poi quello del fordismo. In sostanza una società industriale avanzata, tecnicamente sempre più matura, fino a che, all´improvviso, questa stessa società industriale ha cambiato forma, è diventata una società dell´informazione, nella quale il lavoro non è più una cosa definita ma è indefinita, scomposta. La scomposizione della classe operaia è l´elemento che rende così drammatica la stessa vita collettiva.
Anche adesso siamo in una fase di passaggio. Io ho piena fiducia, perché la Cgil ha vissuto le fasi di passaggio con piena coscienza di sé, anche se certamente con delle divisioni, molte divisioni. Ma esse vanno ricordate, non come un elemento di debolezza ma come un elemento di vitalità. Noi, il sindacato, siamo stati divisi e siamo ancora adesso divisi. Non c´è niente di drammatico. (…) Credo profondamente nell´unità proprio come processo (…) continuo che noi dobbiamo svolgere, per essere contemporaneamente non soltanto noi stessi ma anche gli altri, per vedere e capire le loro buone ragioni. A tutto questo la Cgil ha saputo dare una risposta; dal canto mio, quando tu poni un problema simile, io pur sentendolo come un problema molto attuale, non ho le risposte; anche perché i veri problemi non hanno le risposte incorporate. I veri problemi sono domande ed è bene che queste siano domande aperte e chiare. E´ il ruolo del sindacato quello di essere aperto e chiaro.
Vi è una cosa che mi permetto di dirti (…). Nel lavoro della formazione e soprattutto in quella che il dirigente dà agli altri dirigenti, nella continuità del suo lavoro, vi è un elemento molto importante, e non si tratta della disciplina, ma è la lotta contro il conformismo. Non bisogna accusare l´indisciplina. Non c´è niente di male ad essere indisciplinati, se nell´indisciplina c´è una volontà. La cosa peggiore è quando la volontà non c´è più, quando si sceglie sempre di dare retta ad altri. L´insegnamento da dare ai compagni è che pensino con la loro testa. Possono pensare anche male, ma l´importante è che pensino con la propria testa. Questa è la vita che io credo di aver visto nella Cgil e credo di aver amato nella Cgil più di ogni altra cosa. (…)
EPIFANI. E´ vero che la Cgil ha vissuto con grande determinazione i mutamenti epocali; in modo particolare quelli legati alle diverse forme e modalità di lavoro. Ma anche in quel contesto abbiamo avuto problemi, tensioni, ritardi; ci furono lezioni della storia, sconfitte, come alla Fiat nel 1955. Da lì uscì una Cgil più legata alle nuove condizioni dei lavoratori e alle trasformazioni del lavoro, un indirizzo di lavoro sindacale ben preciso. Oggi però mi sembra di vedere delle trasformazioni più complesse, più difficili da affrontare.
FOA. Spesse volte diciamo, con sicurezza, che nella composizione reale della capacità di lavoro si passa dalla fatica al sapere, e quindi richiamiamo la formazione del sapere come fenomeno principale. In tal modo, però, qualche volta perdiamo di vista un altro aspetto: anche nel sapere si possono creare, si stanno creando, le stesse divisioni presenti nel campo dell´economia, dell´industria. Io posso avere i privilegi del sapere, del tutto analoghi al privilegio della proprietà. A questo punto la difficoltà immediatamente si complica; ciò non vuol dire che io rinunci ad affrontarla; (…) ma questo problema di lottare contro le divisioni che nascono nel nuovo modo di essere è molto importante.
Certo, io qualche volta ricordo, a volte anche con un po´ di passione, una serie di lotte fatte per far sì che tutti stessero nello stesso modo. Le lotte per la parità. E mi ricordo anche certi errori che abbiamo commesso nel vedere in modo meccanico la parità che invece a volte richiede di essere disconosciuta come parità. Ricordo una serie di episodi, per esempio per la parità del lavoro delle donne. (…)Il sapere, le conoscenze della donna, hanno solo in parte origine sul lavoro. Molto spesso il suo sapere nasce dalla famiglia e viene poi riportato nel lavoro attraverso meccanismi che dalla vita dell´uomo non sono conosciuti. La figura tipica è quella della segretaria. (…) Io ricordo che nei tempi in cui avevo concluso degli accordi di parificazione dei salari femminili, vi fu una riunione nazionale di donne lavoratrici per esaltare in qualche modo i contratti di lavoro che avevamo concluso. E ricordo che le compagne anziane che venivano dal Partito comunista mi dissero con una certa timidezza di stare attento a non esaltare troppo i successi sindacali, perché la difficoltà delle donne non nasceva dal lavoro ma da altre cose. E a me pareva che questo fosse eccessivo: esse esprimevano un´osservazione che mi disturbava; così protestai dicendo «ma no; abbiamo fatto dei contratti di parificazione del salario. A questo punto abbiamo risolto il problema». Non avevamo risolto un bel nulla, perché l´inferiorità della donna nasceva in un mondo che esisteva già molto prima del lavoro di fabbrica ed era molto diverso da quello in cui degli aumenti salariali avrebbero sanato le differenze.
E allora dobbiamo accettare il fatto che esistono moltissime cose che ci sfuggono.

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MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2006, Pagina 53 – Cultura

Un discorso sul passato e uno sguardo sul futuro

Quelle grandi lotte hanno cambiato tutto

LUCIANO GALLINO
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Cos´è il sindacato oggi? Se lo domanda Foa, per chiederlo a Epifani. La risposta sta nell´intero loro dialogo. Il sindacato è innanzitutto la storia del percorso sociale e culturale che milioni di lavoratori e lavoratrici hanno compiuto passando dai campi alla fabbrica e all´ufficio. Un percorso di lotte, di fatica e di subordinazione, ma anche di più ampi diritti, di orari meno gravosi, di solidarietà, di formazione di identità collettive. Oggi non potremmo lavorare 1600 ore l´anno in luogo di 2500, o acquistare con un pur modesto salario un canestro di beni e servizi sei, otto volte più fornito rispetto a un secolo fa, senza la lunga serie di accordi che il sindacato ha firmato. Accordi che hanno giovato pure alle imprese: né l´automazione né l´organizzazione del lavoro sarebbero così avanzate se le macchine e i modi di utilizzarle non fossero state messe in discussione da coloro che li dovevano applicare.
Ma questo dialogo sulla natura e la storia del sindacato è anche proiettato sul futuro. Il sindacato deve difendere il presente – cominciando con i diritti acquisiti, con il livello dei salari reali – perché «la difesa del presente è frutto di grandi lotte del passato, di avvenimenti vissuti da tutti, è il sindacato nella sua realtà profonda»: è ancora un´annotazione di Foa. Però se il sindacato si arrocca nella difesa delle situazioni in essere, obbietterà qualcuno, si blocca in un ruolo di retroguardia, gli sfuggono i rapporti nazionali e internazionali derivanti dalla globalizzazione. Chi veda nel sindacato un resto della rivoluzione industriale dovrebbe forse considerare che lo sviluppo di una globalizzazione meglio regolata e meno traumatizzante dipende molto, lo suggerisce Epifani, dalla crescita d´un sindacalismo mondiale. Per dire, se il sindacato si affermasse nell´industria cinese, in modo da far crescere le retribuzioni e diminuire gli orari, ciò contribuirebbe forse più di ogni accordo commerciale o empito protezionistico a rendere meno minacciosa la sua possanza esportatrice.
È una lezione di storia e teoria del sindacato e insieme del lavoro, questo dialogo, che non nasconde i problemi. Né teme di intrecciare il realismo dell´organizzatore sindacale con temi solenni quali la libertà, la dignità del lavoratore, il principio lavoro.

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