LAVORO MINORILE.In Cina per la prima volta si parla dello sfruttamento

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(La Repubblica, MARTEDÌ, 14 FEBBRAIO 2006, Pagina 23 – Esteri)

Il servizio-verità della “Cctv“ su una fabbrica di giocattoli della regione del Guangdong. Turni di 12 ore al giorno per 60 euro al mese

La Cina scopre i bambini-operai

Per la prima volta sulla tv di Stato lo sfruttamento minorile

11,6%: è la percentuale di bambini tra i 10 e 14 anni che lavorano, secondo l`ONU

10 milioni: è iul numero di bambini che lavorano nelle fabbriche, secondo l`ONU

il divieto Il fenomeno riguarda oltre 10 milioni di piccoli: i giornalisti che ne parlavano rischiavano il carcere
il lieto fine Il servizio è a lieto fine, le autorità giocano un ruolo positivo e i baby lavoratori denunciano chi li sfrutta

Federico Rampini
PECHINO – La telecamera segue il cronista al primo piano di un caseggiato, dentro uno stanzone pieno di ragazzini che stanno assemblando dei giocattoli. «A sorpresa – commenta la voce del giornalista – quando appena cerchiamo di parlargli, è scattato un fuggi fuggi generale. Alla fine riusciamo a bloccarne qualcuno al piano di sopra, sono bambini che dimostrano undici o dodici anni».
Il cronista ne interroga uno: di dove sei, quanti anni hai? «Vengo dalla provincia del Guangxi. Ho quindici anni». Che classe fai? «La quinta elementare». E´ difficile credergli, commenta la voce fuori campo, dalla statura e dall´aspetto ne dimostra molti meno e a quindici anni non sarebbe ancora in quinta. «Tutti i ragazzi – prosegue – riflettono a lungo prima di rispondere alle nostre domande. Dal primo giorno in cui hanno cominciato a lavorare in fabbrica, li hanno istruiti a rispondere sempre che hanno 16 anni, l´età minima legale per lavorare. Ci sono 50 – 60 bambini impiegati in questa fabbrica. Come gli adulti, lavorano più di dieci ore al giorno. Abbiamo anche notato un regolamento appeso al muro che proibisce agli operai di lasciare il posto di lavoro per più di dieci minuti».
Lo scoop sullo sfruttamento dei minori in una fabbrica di giocattoli a Dongguan, nella regione cinese del Guangdong, non è opera di giornalisti dissidenti o di organizzazioni umanitarie occidentali. Va in onda sulla Cctv, la rete di Stato cinese. E´ un magazine di attualità dalla audience elevata che rompe il tabù dello sfruttamento minorile nelle fabbriche cinesi. Il reportage rivela che alcuni di questi ragazzi hanno passato così le «vacanze scolastiche» del Capodanno cinese (finite domenica scorsa), curvi alla catena di montaggio, con turni di lavoro fino a 12 ore e anche rotazioni di notte, salari di 600 yuan al mese (60 euro) cioè meno della metà del minimo legale, mansioni pericolose che li espongono a sostanze tossiche come colle e vernici dalle esalazioni nauseabonde. Molti di questi ragazzi hanno abbandonato la scuola dell´obbligo perché le famiglie non potevano mantenerli. Ma la vera notizia non è l´esistenza del lavoro minorile in Cina. Numerose inchieste lo hanno documentato. I giornalisti cinesi che se ne sono occupati in passato hanno subito la censura, alcuni hanno perso il posto di lavoro, altri sono stati minacciati o arrestati dalla polizia. In alcune delle regioni più industrializzate le autorità locali trattano queste notizie come un «segreto di Stato». La novità assoluta è che sia scesa in campo la televisione di Stato per spezzare l´omertà. E´ un segnale che il governo di Pechino vuole finalmente combattere questa piaga?
Lo scoop della Cctv naturalmente è a lieto fine, e prevede un ruolo positivo per le autorità. «Durante il nostro reportage nel Guangdong – commenta il cronista – il governo locale ha scoperto più di duecento bambini sfruttati nelle fabbriche di Dongguan. La polizia è stata allertata. Abbiamo incontrato alcuni di questi ragazzi mentre sporgevano denuncia, accolti nel commissariato di polizia». Il finale positivo è d´obbligo, ma durante i venti minuti della trasmissione i telespettatori hanno avuto diritto a un´informazione precisa, accurata, drammatica.

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