La Triennale di Milano si trasforma in carcere. Da domani.

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(La Repubblica, MERCOLEDÌ, 22 FEBBRAIO 2006, Pagina XV – Milano)

Celle virtuali al palazzo dell´Arte dove apre il progetto “La rappresentazione della pena“.
Ne parliamo con Davide Ferrario, uno degli organizzatori

La Triennale si trasforma in carcere “Anche chi sta fuori è prigioniero“

Niente alibi: Lì dentro trovi le stesse ipocrisie e miserie del mondo libero ma senza inganni
Lezione di umanità: Lavorando come volontario tra i detenuti ho trovato un materiale umano molto forte

PAOLA ZONCA
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La vita nel carcere. Le sensazioni, i sentimenti, i desideri, il dolore psicologico e fisico di chi, privato della libertà, entra in una dimensione spaziale e temporale che è fatta solo di ripetizione, di mancanza, di costrizione. La Triennale dedica un mese (oggi l´inaugurazione alle 18.30, l´apertura è da domani al 19 marzo) al progetto “La rappresentazione della pena“, coordinato dal sociologo Aldo Bonomi e suddiviso in due momenti: un ciclo di seminari, dibattiti, proiezioni cinematografiche e spettacoli teatrali e una mostra, “Carcere invisibile e corpi segregati“, che illustra in tutta la sua crudezza la realtà dei penitenziari. Nessuna intenzione didascalica, ma un vero e proprio percorso nell´inferno. Si entra in una piccola stanza dove i visitatori vengono “schedati“, e gli uomini separati dalle donne, poi si prosegue in un corridoio lungo il quale sono installate 14 celle di 3,6 metri per 3,6, ciascuna dedicata a un tema: il sovraffollamento, lo spazio, il tempo, il sesso negato, la violenza, la malattia, il suicidio. Sulle pareti, le fotografie proiettate di Uliano Lucas. In fondo c´è la cavea in legno realizzata dai detenuti di Bollate, poi un altro corridoio di 24 metri con appese una trentina di immagini scattate dal regista Davide Ferrario a San Vittore durante lo sgombero del quarto e quinto raggio, selezionate da una mostra più ampia già presentata in piazza Gramsci, a Cinisello Balsamo. Non ci sono volti immortalati, solo muri scrostati sui quali i carcerati hanno lasciato tracce del loro mondo interiore: donne nude, immagini della Madonna, liste della spesa, messaggi, scritte in arabo.
Ferrario, oggi tutti entrano in carcere: giornalisti, politici, magistrati, registi. Si tratta di interesse vero o di snobismo intellettuale?
«Tutti parlano di carcere, ma in realtà a nessuno importa nulla. La gente comune vorrebbe che i detenuti stessero tutti chiusi lì dentro, e butterebbe pure via la chiave. Al di là di qualche collegamento coi talk-show televisivi, chi si interessa davvero dei problemi delle carceri?»
E lei come ci è capitato in galera?
«Sei anni fa, come volontario. Mi hanno chiesto di tenere un corso per videomontatori a San Vittore. Sono diventato amico di alcuni, così ho continuato. Adesso abito a Torino e una volta la settimana frequento Le Vallette. La società dei consumi rimuove tutto: la malattia, la morte, il dolore. E invece in carcere ho trovato un materiale umano molto forte».
Cosa ha imparato?
«Che la prigione è lo specchio della società: dentro ci trovi le stesse ipocrisie, le stesse miserie, ma lì non ci sono alibi né possibilità di autoinganno. È un´esperienza-limite che ti fa riflettere sulla tua vita. Ho imparato che il carcere dovrebbe riabilitare, e invece abbrutisce, perché lo si intende come una vendetta sociale».
Le sue foto che storie raccontano?
«Le immagini sono realistiche e surreali ad un tempo. Il muro è ciò che un carcerato vede dal suo letto. Ma in nove metri quadrati c´è tutto un mondo: ci sono le tette nude, le foto dei parenti, ma anche le riproduzioni di quadri di Rembrandt o di Antonello da Messina. Mi affascina provare a entrare nella mente di chi, al muro, ci ha appeso un´opera d´arte».
Viale Alemagna 6. Fino al 19 marzo. Orari: 10.30-20.30, chiuso lunedì. Ingresso libero. 02.724341.

In allegato scaricabile il programma completo

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