ISTRUZIONE. Lo studio rende più dei Bot . Una ricenda di Bankitalia

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(da La Repubblica, LUNEDÌ, 27 FEBBRAIO 2006, Pagina 36 – Economia)

Il guadagno calcolato sia per gli individui che per lo Stato: vantaggi soprattutto al Sud

Lo studio rende più dei Bot

Istruzione, Bankitalia valuta il ritorno degli investimenti

Il parametro usato dai ricercatori di via Nazionale è quello di un anno in più di attività educativa rispetto alla media

LUISA GRION
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ROMA – Conviene studiare. Conviene darci sotto con libri, valutazioni ed esami: lo sforzo paga, anche in termini di futuro reddito. La cultura, oltre che alla mente, fa bene alle tasche del singolo e alle entrate dello Stato in cui vive.
Quello che potrebbe sembrare un saggio consiglio, una questione di buon senso, ora è molto di più: è una teoria scientificamente dimostrata in uno studio di 50 pagine fitte di equazioni matematiche pubblicato dalla Banca d´Italia. Alla fine del lavoro ( «I rendimenti privati e sociali dell´istruzione in Italia» pubblicato fra i «Temi di discussione») si arriva ad una conclusione che non ammette dubbi: investire in un anno di scuola in più rispetto al livello medio conviene più che investire in titoli, in Bot o addirittura in infrastrutture. E ciò vale sia per il privato cittadino che per lo Stato. Sia tenendo conto dei costi sostenuti, che dei mancati guadagni legati al rinvio dell´entrata nel mondo del lavoro (per i privati) e dalla maggiore produttività garantita dal più elevato livello di studio (per il pubblico).
Alla fine di complessi calcoli la Banca d´Italia stabilisce infatti che , per il singolo individuo, il tasso di rendimento di un anno di istruzione in più oscilla tra l´8,6 e il 9 per cento a seconda delle varie aree del paese: il guadagno è più forte al Sud, dove con un buon livello di specializzazione è più facile trovare un lavoro qualificato. Il confronto con i titoli è impietoso: Bot annuali, nell´ultima asta si sono fermati al 2,76. Non solo: far studiare ragazzi e ragazze è un ottimo investimento anche per la nazione visto che il rendimento «sociale» di un anno di studio in più rispetto al livello medio è fra il 7 e l´8 per cento (e anche qui il Meridione è avvantaggiato): «un tasso che sembrerebbe superiore a quello derivante dalle infrastrutture» commenta il rapporto. Senza contare che «la maggior spesa pubblica necessaria a finanziare un dato aumento del livello d´istruzione sarebbe compensata, specie nelle regioni meridionali, dall´aumento delle entrate fiscali e dai minori costi derivanti dall´aumento del tasso di occupazione».
Detto questo, passando dalle teorie ai fatti, bisogna ricordare che in Italia – secondo quanto afferma una ricerca Eurostat – il 23,5 per cento dei ragazzi con età compresa fra i 18 e i 24 anni, uno su quattro quasi, non ha in tasca altro che la licenza di scuola media. Peggio che mai all´Università dove – dati 2002 – in Italia solo il 12,5 per cento dei giovani fra i 25 e 35 anni risultano in possesso di laurea contro il 21,7 della Germania, il 36 della Francia e Spagna e il 39 degli Usa. Per Enrico Panini, leader per il settore scuola della Flc-Cgil, il messaggio che arriva dallo studio è inequivocabile: «una delle cause principali delle precarie condizioni economiche di tanti cittadini e della enorme difficoltà dell´Italia a restare al fianco degli altri paesi economicamente più avanzati risiede proprio nell´aver scelto di disinvestire in istruzione. Le priorità per quello che sarà il prossimo governo dovrebbero essere evidenti».

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