ECONOMIA. Bilancia commerciale, incubo 1980. I dati ISTAT

by redazione | 18 Febbraio 2006 0:00

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(Il manifesto, 18 febbraio 2006)

Bilancia commerciale, incubo 1980

Nel 2005 il peggior deficit della storia recente. Colpa del petrolio e non solo

Petroliodipendenti: Greggio e gas mandano in rosso il bilancio finale. Manca una politica energetica, che nessuna «maggiore concorrenza» riuscirà a sostituire

FRANCESCO PICCIONI
E` una conferma, ma le dimensioni sono tali da far scattare un allarme. E soprattutto una riflessione, se non fosse una consuetudine ormai in via di estinzione. L`Istat ha rilasciato i dati relativi alla bilancia commerciale (il rapporto tra importazioni ed esportazioni) dell`Italia nel 2005. Il saldo negativo finale è il più negativo della storia recente: meno 10, 368 miliardi di euro. Per trovare cifre simili bisogna tornare al 1980, anno di svolta che chiude il «decennio rosso» iniziato nel `68 e potenziato dalla rivolta operaia del `69. Allora questo scarto tra produzione (per l`estero) e consumi (interni) fu addebitato tutto alla conflittualità operaia, ai salari troppo alti, all`organizzazione del lavoro «poco competitiva». Dopo 25 anni di compressione dei salari, dell`occupazione produttiva e dei diritti, siamo di nuovo al punto di partenza.

Qualche conto non torna, è evidente. L`analisi dei settori positivi e negativi ci aiuta a capire meglio, sfatando molti miti. In Europa la nostra posizione commerciale è peggiorato. Aumentiamo le esportazioni verso la Germania (+2,9%), ma veniamo sommersi con un +14,9% di merci tedesche (prodotte, è il caso di ricordarlo, con un costo medio del lavoro che è il doppio di quello italiano). Mentre le riduciamo verso Francia (-5,4%) e Inghilterra (-3,3). Esportiamo invece alla grande verso nanerottoli industriali come Lituania (+27%), Slovenia (+22,5), Lettonia (+20,5), mentre importiamo sempre di più da altri piccoletti come Cipro, Rep. Ceca, Polonia, Slovacchia, Ungheria. E dalla Finlandia dei Nokia.

Quanto al genere delle merci, esportiamo metalli (+12,9%) e prodotti agricoli (+6,6) o chimici (+10,4), mentre importiamo mobili (prodotti magari da aziende italiane «delocalizzate» nell`est europeo), prodotti in cuoio (scarpe «italiane»?). Da tutta questa serie di entrate ed uscite verrebbe comunque fuori un bilancio positivo, se non fosse per una voce che – da sola – squilibra la bilancia con un passivo annuale di 38,5 miliardi di euro.

Questa protagonista assoluta della bilancia commerciale italiana è naturalmente l`energia. L`energia importata (petrolio, gas, ecc) ha fatto un balzo del 43,7%, mentre quella esportata (prodotti petroliferi raffinati, in massima parte) è cresciuta addirittura dell`80%. La natura della produzione italiana come «industria di trasformazione» ne esce ancora una volta rafforzata, persino in campo energetico. Ma in un anno – il 2005 – che ha visto il prezzo internazionale del petrolio salire dai 40 dollari al barile (in gennaio) agli oltre 60 di dicembre (con un picco, in agosto, di 70 dollari) questo elemento assume una centralità che gli schieramenti politici tardano ancora a valutare in tutta la sua importanza. Da manuale (in negativo) l`atteggiamento del viceministro per il commercio estero, Adolfo Urso, che si bea dell`aumento delle esportazioni (+3,7% nel 2005) ed esorcizza il peso delle importazioni energetiche fantasticando sulla «riapertura della strada del nucleare per riequilibrare il crescente buco della bilancia commerciale» provocato dal costo degli idrocarburi.

Di «piano per l`energia», con questi dati in mano, parlano tutti (Sacconi, Pezzotta, ecc). Ed è certamente giusto additare le responsabilità del governo, come fa Marigia Maulucci, segretaria confederale della Cgil, parlando di «incapacità e assoluta mancanza di volontà, sia in termini di diversificazione delle scelte energetiche». Meno sensato è esagerare l`importanza della «oggettiva protezione del ruolo dominante dell`Eni, a totale svantaggio di imprese e consumatori». Non risulta infatti in nessun paese che una «maggiore concorrenza» nell`approvvigionamento energetico diminuisca la dipendenza dall`estero. Perché la natura (e gli idrocarburi sono un «bene naturale non riproducibile»), della teoria economica liberista classica, semplicemente se ne infischia.

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