CULTURE. In tutti noi una goccia di sangue nero. Uno studio.

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(da La Repubblica, LUNEDÌ, 27 FEBBRAIO 2006, Pagina 35 – Cronaca)

Il National Geographic sta analizzando 100mila kit inviati da gente comune e da mille tribù indigene per disegnare tutte le differenze delle popolazioni

“In tutti noi una goccia di sangue nero“

Dalla mappa genetica le tracce degli ultimi 60mila anni, a partire dall´Africa

Il genoma è identico per il 99,9% in tutti gli esseri umani, in ogni parte del mondo
Lo 0,1% responsabile del diverso colore di occhi o predisposizione ad alcune malattie
La prima tappa di un progetto che durerà in tutto 5 anni per capire come sono nate le attuali diversità
Il Dna conserva la storia di tutte le mutazioni prodotte dall´evoluzione Allo studio possono partecipare tutti

Alberto Flores d´Arcais

NEW YORK – Adesso lo conferma anche il Dna: i nostri più lontani antenati vengono tutti dall´Africa, in ognuno di noi c´è una piccolissima goccia di sangue “nero“. L´analisi dei primi risultati (ora pubblicati dal National Geographic, la cui edizione italiana è in edicola da domani) del “Genographic project“, l´ambizioso progetto per ricostruire l´“albero genealogico“ dell´intera umanità – lanciato quasi un anno fa dalla prestigiosa rivista insieme con la società informatica Ibm e della durata di 5 anni – avvalora la tesi degli studiosi. Tutto ha avuto inizio, circa duecentomila anni fa, nel “continente nero“ con un gruppo di “cacciatori-raccoglitori“, poche centinaia di uomini e donne da cui nel corso dei millenni sono nati gli attuali 6 miliardi e mezzo di individui che popolano la terra: “In una saga appassionante di sopravvivenza, movimento, isolamento e conquista, che si svolge in gran parte nel silenzio della preistoria“.
Il Dna degli uomini di oggi conserva una traccia di queste antiche migrazioni. «Ogni goccia di sangue umano contiene un libro di storia, scritto nella lingua dei nostri geni», ha spiegato al National Geographic il genetista Spencer Wells, uno degli scienziati che partecipano al progetto. Il codice genetico, o genoma, umano è identico per il 99,9 per cento in tutti gli esseri umani, in ogni parte del mondo; solo il restante 0,1 per cento è responsabile (in parte) delle nostre differenze individuali, come il colore degli occhi o la predisposizione a certe malattie. In parte non ha invece alcuna funzione apparente.
“Di tanto in tanto – scrive la rivista – nel corso della storia evolutiva, in una di queste sequenze non funzionali può verificarsi una mutazione casuale, non dannosa, che viene poi trasmessa a tutti i discendenti del portatore. A distanza di generazioni, se si individua quella stessa mutazione, o marcatore, nel Dna di due individui, si può concludere che essi hanno un antenato in comune“.
Per giungere a queste prime conclusioni i team della società scientifica americana hanno setacciato i codici genetici di oltre mille popolazioni indigene, legate alle origini ancestrali dell´uomo e a ciò hanno sommato i test acquistati e inviati alla National Geographic society da oltre 100mila comuni cittadini da ogni parte del mondo e dal quale si ricavano le differenze genetiche che contraddistinguono ogni gruppo di popolazione.
Confrontando i marcatori nel Dna di differenti tribù indigene gli scienziati hanno così iniziato a ricostruire la storia dei nostri antenati, tornando sempre più indietro nel tempo. Con la conferma della teoria dell´Eva “africana“, formulata a metà degli anni Ottanta da un gruppo di scienziati dell´università di Berkeley (California).
Oggi gli studiosi calcolano che tutti gli individui viventi siano imparentati con una sola donna che visse in Africa 150mila anni fa, una “Eva mitocondriale“: «Non era l´unica donna vivente a quell´epoca, ma, se i genetisti hanno ragione, l´intera umanità discende da lei attraverso una catena ininterrotta di madri. All´“Eva mitocondriale“ si accompagnò ben presto un “Adamo del cromosoma Y“, anch´egli africano e padre di tutti noi».
L´articolo del National Geographic spiega come in “epoca molto recente, probabilmente tra 50mila e 70mila anni fa, una piccola onda migratoria proveniente dall´Africa raggiunse le sponde dell´Asia occidentale. Oggi tutti gli esseri umani di ceppo non africano possiedono i marcatori genetici portati da questo gruppo, forse appena un migliaio di persone“. «Il patrimonio genetico del resto del mondo è un sottogruppo di quello dell´Africa», conferma il genetista Kenneth Kidd.
I dati genetici adesso disponibili ci dicono che dall´Asia gli homo sapiens si divisero: una parte rimase in Medio Oriente mentre un´altra continuò a diffondersi seguendo la costa, dalla Penisola Arabica all´India e oltre. Ciascuna generazione potrebbe essersi spostata in avanti di un paio di chilometri o poco più.
«Probabilmente il movimento era impercettibile», sostiene Spencer Wells: ma i piccoli spostamenti, a piedi o in barca, si sono sommati nel corso dei millenni. E oggi possiamo dire con certezza che l´Australia sudorientale era stata raggiunta dall´uomo già 45mila anni fa.

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