Cooperazione internazionale. L`Italia taglia i fondi all`Onu

by redazione | 19 Febbraio 2006 0:00

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(il manifesto, 19 Febbraio 2006)

Fini azzera i fondi all`Onu

Con una delibera del 16 febbraio scorso, la Farnesina ha ridotto a zero i «contributi volontari» dell`Italia alle cinque principali agenzie dell`Onu. Niente più soldi al fondo per l`infanzia (Unicef), né all`Alto commissariato per i rifugiati (Acnur), né al fondo alimentare (Fao), né all`Organizzazione mondiale della sanità (Oms), né al Programma allo sviluppo (Unpd). La finanziaria del governo Berlusconi aveva già tagliato drasticamente i contributi destinati alla cooperazione allo sviluppo, ma la linea zero euro nei confronti dell`Onu ha il sapore di una scelta politica molto precisa e molto «americana». Tanto più che i soldi per qualcuno sono stati comunque trovati. In particolare per alcuni organismi meno noti legati al Palazzo di vetro – ma perché a scapito di agenzie più importanti? – e soprattutto per altri uffici molto più italiani, legati a una filiera che si occupa di formazione. La scelta della Farnesina è un modo per rinunciare a pesare di più nelle agenzie internazionali e curare meglio le relazioni interne. Scelta insana nel momento in cui la collaborazione tra paesi è fondamentale come nel caso della crisi della febbre aviaria.

L`Italia taglia i fondi all`Onu

Il finanziamento della Farnesina all`Unicef per il 2006? E` pari a zero. Lo stesso vale per molte altre agenzie delle Nazioni unite. Il totale dei «contributi volontari» è stato dimezzato. Ma c`è chi non resta a secco, come l`Ipo. Si occupa di sviluppo industriale e la direttrice è la moglie del ministro Baccini

EMANUELE GIORDANA*

Organizzazione mondiale della sanità: zero. Fondo dell`Onu per l`infanzia: zero. Alto commissariato per i rifugiati: zero. Programma dell`Onu per lo sviluppo: zero. Fondo alimentare: zero. E` questa la nuova aritmetica del governo italiano in materia di finanziamento alle organizzazioni internazionali. Lo si desume dalla delibera che il 16 febbraio è stata approvata alla Farnesina e che, oltre a decurtare della metà il tradizionale bilancio dei «contributi volontari» agli organismi internazionali, ha deciso che ad Acnur, Unicef, Fao, Undp e Oms non andrà nemmeno un euro. Il timore serpeggiava da mesi, da quando cioè l`ultima finanziaria ha ridotto drasticamente i fondi destinati in genere alla cooperazione allo sviluppo. Ma nessuno si aspettava che il governo avrebbe deciso per una simile linea di condotta nei confronti dell`Onu. Una scelta «americana», come qualcuno l`ha definita, e che ancora non è stata comunicata ufficialmente alle sedi nazionali delle cinque maggiori agenzie del sistema. Una scelta che lascia stupefatti e avviene in un momento in cui la collaborazione con le agenzie del palazzo di Vetro è fondamentale: per citare casi sotto gli occhi di tutti, la crisi della febbre aviaria, il problema dell`immigrazione alle nostra frontiere o quello dello sfruttamento dei minori. Ma non è tutto.

La delibera licenziata dalla Farnesina, se azzera il contributo tradizionale ai 5 big dell`Onu, premia invece altri organismi della filiera di Kofi Annan e, sorpresa, alcuni che invece con l`Onu non hanno nulla a che vedere. Come l`International Management Group (Img), che incassa 5 milioni di euro, il 10% del totale dei 52 erogati per il 2006. Molto internazionale nel nome, molto nazionale nei fatti, ottime ramificazioni nei Balcani dov`è nato, l`Img ha un ufficio a Roma diretto da Laura Fincato e con l`Onu proprio non c`entra. C`entrano invece Undesa, Oil, Unodc, Unido, Pam, Ipgri, Unccd, Unssc, per quanto ai più molte di queste sigle appaiano semisconosciute. La più nota è sicuramente l`Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (Unodc) che è diretta dall`italiano Antonio Maria Costa (4 milioni il contributo).

Ed è proprio l`Italia la chiave per capire come Roma ha ragionato nella nuova distribuzione di fondi, in linea per altro con la battaglia per l`italianità sventolata dal governo Berlusconi. Con 2,5 milioni di contributo che andranno all`Ufficio per la Promozione Industriale (Ipo) che ha sede a Roma (creato nell`85 tra l`Italia e l`Organizzazione dell`Onu per lo Sviluppo Industriale-Unido) si premia una direttrice italiana: la signora Diana Battaggia, moglie dell`ex sottosegretario agli Esteri, e attuale ministro della Funzione pubblica, Mario Baccini. Che ha forse favorito anche i 5 milioni di euro all`istituto Italo latino americano, dove Luca Simoni, suo ex consigliere, ha la vicepresidenza. Quanto all`Undesa (9 milioni, il maggior finanziamento), si premia un altro italiano, Gherardo Casini (nessuna parentela con Pierferdinando) che dirige l`Ufficio delle Risorse Umane per la Cooperazione Internazionale di Roma, dove si diventa Junior professional officer per l`Onu.

Insomma una filiera che si occupa soprattutto di formazione e che in qualche modo si ricollega all`Unssc, la scuola Onu di Torino collegata all`Ilo, l`Ufficio internazionale del lavoro (contributo di 8,5 milioni) dove nella sede romana si ritrova una vecchia conoscenza del ministero, Claudio Lenoci, sottosegretario ai tempi di De Michelis, grazie a cui l`ufficio italiano era stato prima affidato a Maurizio Sacconi, adesso sottosegretario del governo Berlusconi. Insomma una filiera molto italiana e molto poco bypartisan (se si esclude qualche briciola che arriva al Cespi) che consente in pratica di non far uscire dal Belpaese i contributi spesi in nome della vocazione internazionale.

Certo, finanziare l`United Nations System Staff College o far crescere i giovani Jpo, è un modo di contribuire al sistema delle relazioni internazionali e anche di finanziare l`Onu. Farlo a scapito dell`Unicef o dell`Unhcr lascia perplessi. Delle grandi si salva soltanto il Pam (Programma alimentare mondiale), dove, forse per mera coincidenza, i rapporti con i donatori li tiene Marco Selva, figlio del presidente della commissione Esteri della camera Gustavo. Tutti gli altri a bocca asciutta.
«In questo modo – confida un anonimo funzionario della Farnesina – l`Italia rinuncia al tradizionale peso politico in seno alle grandi agenzie del sistema. Rinuncia cioè ad avere voce in capitolo nei board internazionali dove si decidono le politiche delle singole agenzie e dove, ovviamente, il negoziato sui contenuti si fa anche a partire dal proprio peso economico. Si rinuncia, più prosaicamente, anche a pesare sulle nomine all`interno del sistema». I contributi volontari si aggiravano sui 100 milioni di euro all`anno. Tremonti li ha ridotti a 52. la Farnesina ha fatto il resto.

*Lettera22

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INTERVISTA
«Scelta catastrofica per la politica estera»
Gianni Ruffini, Università di York: «Siamo l`ultimo dei paesi donatori»
CINZIA GUBBINI
ROMA
Gianni Ruffini è docente di «Aiuto umanitario» presso l`università di York. Dice di rimanere «un po` perplesso» di fronte alle cifre contenute nella delibera del 16 febbraio con cui vengono azzerati i fondi delle maggiori agenzie delle Nazioni unite e drasticamente ridotti quelli destinati alle organizzazioni non governative: «Se devo essere sincero, e guardando il fenomeno anche in retrospettiva, l`impressione è che manchi qualunque strategia. I fondi sono in costante diminuzione. E nonostante gli impegni a risalire la china – spiega – ormai siamo all`ultimo posto tra i paesi donatori nel mondo».

Professore, quali sono le conseguenze di queste scelte?

In questo modo si indebolisce ogni velleità italiana in tema di relazioni internazionali. Si rinuncia a rafforzare le relazioni con i paesi in via di sviluppo ma anche con quelli meno avanzati come il Brasile, l`India, la Cina e così via. La cooperazione ha come primo fine quello di fornire aiuto ai paesi bisognosi, ma è anche uno strumento di politica estera. Serve a creare rapporti, aprire mercati, stabilire legami robusti tra comunità nazionali. In Italia nessuno sembra capire che, di questi tempi, investire in relazioni internazionali e in cooperazione significa investire sul futuro del paese. Non si tratta più di una frangia sacrificabile del bilancio nazionale, ma di uno dei nuclei centrali dell`investimento che una nazione fa su se stessa, sulla propria capacità di presenza nel mondo e di partecipazione ai processi che lo stanno trasformando

E che dire delle relazioni con l`Onu?

Visto che l`Italia vuole incidere sulla riforma delle Nazioni unite, vedere questo taglio alle agenzie dell`Onu in cui abbiamo sempre giocato un ruolo non insignificante appare senza senso. Mi riferisco alla Fao, che tra l`altro ha sede Roma, come anche il World Food Program, ma anche ad agenzie come l`Unicef o l`Alto commissariato per i rifugiati. Se un paese vuole davvero influire su quella riforma o sui nuovi assetti dei sistemi internazionali, questo è il modo peggiore per avere qualche voce in capitolo.

Aldilà della riforma in corso, sembra che l`Italia abbia deciso di non puntare più sulle Nazioni unite…

E` almeno dal 2003 che l`Italia ha sposato la causa dell`unilateralismo, in controtendenza rispetto alla maggior parte degli stati membri più influenti dell`Unione europea. Una strategia che ci accomuna più a certi paesi dell`Europa orientale che non al nucleo forte dell`Europa occidentale. Questa strategia avrebbe senso nella misura in cui il nostro paese fosse una vera potenza, sia in termini di cooperazione che in termini strategici militari. Siccome non lo siamo, è stato soltanto un salire sul carro dei presunti vincitori. Un po` prematuramente e probabilmente sbagliando il salto: anche la politica unilaterale degli Stati uniti sta mostrando un`inversione di tendenza, avendo mostrato tutti i suoi limiti. Nel frattempo, però, abbiamo perso le nostre posizioni, non particolarmente forti ma che comunque ci garantivano una certa continuità.

Di cosa si occupano le agenzie dell`Onu che sono riuscite a mantenere qualche finanziamento?

Di cose utilissime, per carità, come la formazione, le campagne, analisi e studi. Programmi essenziali ma che certo non producono effetti in termini di cooperazione, nel senso che in nessun modo aiutano a stabilire relazioni forti tra paesi

I tagli riguardano anche, e in maniera pesante, le ong. Non è certo la prima volta. Qual è la situazione?

In effetti già eravamo di fatto allo zero. Eppure le organizzazioni non governative sono l`unica forza che l`Italia può vantare in campo di cooperazione, con una presenza rilevante e tecnicamente qualificata. Ma anche questo settore non viene valorizzato e si sceglie di sacrificarlo. Mi sembra masochistico: è chiaro che il settore della cooperazione sta attraversando un momento di crisi e ha bosogno di un forte rinnovamento. Tuttavia è l`unico patrimonio che abbiamo, non ce ne sono altri.

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