BOLKESTEIN. La direttiva più contestata d´Europa

by redazione | 15 Febbraio 2006 0:00

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(da La Repubblica, MERCOLEDÌ, 15 FEBBRAIO 2006, Pagina 1 – Prima Pagina)

Bolkestein la direttiva più contestata d´Europa

ANDREA BONANNI
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L´Europa affronta uno dei suoi fantasmi più irrazionali, e dunque più pericolosi. Il Parlamento di Strasburgo dovrà infatti votare domani sulla famigerata direttiva Bolkestein. Quella che, almeno nella versione originaria, prevedeva di abbattere le frontiere comunitarie anche per i servizi liberalizzando un settore che rappresenta quasi il 70 per cento della ricchezza prodotta ogni anno nell´Unione. Diciamo subito che non sarà così. Il compromesso faticosamente raggiunto tra il gruppo socialista e il gruppo popolare stravolge la natura della direttiva che, ai tempi della Commissione Prodi, era stata presentata dal liberale olandese Frits Bolkestein responsabile per il mercato interno. Il nuovo testo prevede uno sterminato numero di eccezioni. Attribuisce ai governi nazionali un ampio margine discrezionale. E, soprattutto, cancella il principio di fondo della vecchia direttiva: quello secondo cui si sarebbe potuto vendere servizi in tutto il territorio europeo sulla base delle norme e delle tariffe vigenti nel paese di origine del venditore.

Era questo concetto che aveva scatenato l´allarme delle sinistre e dei sindacati (ma anche di numerose corporazioni), spaventati all´idea di una invasione di idraulici, infermieri, taxisti e architetti provenienti dai paesi dell´Est e capaci di offrire i propri servizi a prezzi stracciati. Il timore di un possibile dumping sociale, materializzato dallo spettro dell´“idraulico polacco“ pronto ad invadere l´occidente, era stato abilmente manipolato dal fronte del “no“ al momento del referendum francese sulla Costituzione europea, ed era stato uno degli elementi che ne avevano determinato la bocciatura popolare.
A dimostrazione di quanto fosse stato irrazionale quel voto, nonostante l´affondamento della Costituzione la direttiva Bolkestein è arrivata puntualmente sul tavolo dei parlamentari. La Commissione Barroso, dopo aver spinto imprudentemente per una rapida approvazione del testo ereditato da Prodi senza peraltro difenderlo con convinzione, ha abbandonato ogni pretesa al proprio ruolo istituzionale e politico rimettendosi nelle mani del Parlamento e del Consiglio dei ministri e delegando loro il compito di modificare la norma. Ancora ieri, nel corso della discussione in aula, Barroso ha assicurato che la Commissione farà propri tutti gli emendamenti su cui i deputati trovassero una larga convergenza.
I deputati hanno lavorato sodo e, come si è detto, hanno rivoltato la direttiva come un calzino eliminando tutti quegli aspetti che potessero anche lontanamente far temere una legittimazione del dumping sociale. Oltre ad abolire il principio del paese di origine, hanno stabilito eccezioni per tutti i servizi di pubblica utilità, per i servizi finanziari, per quelli giuridici, per quelli sanitari e perfino per notai e biscazzieri.
Eppure, anche così modificata, la “Bolkestein“ continua a fare paura, a polarizzare diffidenze irrazionali e ad attrarre l´ostilità di quanti contano di incassare i dividendi di un populismo a buon mercato. Ieri a Strasburgo, mentre i deputati discutevano in aula, i sindacati europei hanno fatto sfilare quarantamila persone in piazza. Per metà contrarie al provvedimento. E per metà favorevoli al compromesso, ma timorose che un colpo di mano dell´ultima ora potesse stravolgerlo conservandone l´impronta liberale.
D´altra parte anche l´universo politico appare diviso. E gli italiani non fanno eccezione. I partiti dell´Ulivo voteranno in gran maggioranza a favore, così come farà Forza Italia che paradossalmente finisce per appoggiare l´operato di Prodi. La Lega e Rifondazione sono contrari. Alleanza Nazionale definisce il compromesso “un mostro“, ma ancora non si capisce come voterà.
In realtà non deve stupire che la direttiva Bolkestein susciti passioni così forti e apparentemente irrazionali. Essa affronta infatti in un colpo solo i due grandi temi irrisolti nella coscienza collettiva di questa Europa di inizio secolo: la apparente contraddizione tra liberalizzazione economica e difesa dello stato sociale, e l´allargamento.
Su entrambi questi punti, i governi e le istituzioni hanno preso posizioni precise. L´allargamento ad Est è stato ratificato e salutato da tutti come un evento epocale. Quanto alla liberalizzazione, in particolare dei servizi, essa costituisce il cardine di quella strategia di Lisbona, approvata nel 2001, che si propone di rilanciare la competitività del Vecchio Continente e stimolarne la crescita economica proprio per consentirgli di mantenere nel tempo i propri standard sociali.
Ma proprio sul binomio liberalizzazione e allargamento il sistema politico europeo ha mostrato tutti i suoi limiti. La strada scelta dai governi fa paura ai cittadini. E il fatto che queste paure siano in larga misura irrazionali le rende ancora più insormontabili di fronte ad una classe politica che non è capace di assumere la leadership del cambiamento.
Il problema appare difficilmente sormontabile: fino a che i governanti europei saranno chiamati a prendere decisioni strategiche a livello continentale, ma dovendo rispondere del loro mandato a livello nazionale dove le spinte corporative e gli interessi costituiti sono fortissimi e molto concentrati sul “particolare“, difficilmente avranno la forza politica per far seguire atti concreti alle loro belle decisioni di principio.
E così dovremo rassegnarci. Se la direttiva non dovesse passare, o se passasse un testo inapplicabile, al posto del temutissimo idraulico polacco o dell´infermiera ungherese avremo probabilmente immigrati clandestini da paesi terzi che guadagneranno ancora meno, faranno autentico dumping sociale e andranno ad alimentare l´economia sommersa sottraendo risorse alle casse dello Stato e alle strategie di crescita. Una scelta suicida, ma che santifica l´impotenza della classe politica europea.

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