AMBIENTE. A un anno da Kyoto, l`Italia inadempiente

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(La Repubblica, MERCOLEDÌ, 15 FEBBRAIO 2006, Pagina 19 – Cronaca)

L´accordo mondiale per contrastare i cambiamenti climatici nel nostro Paese non decolla. Ma entro il 2008 potremmo recuperare

Un anno di Kyoto e l´aria non è cambiata

Sui gas serra l´Italia rischia una multa da sei miliardi l´anno

Lentezze burocratiche e decisioni rinviate hanno finora bloccato l´inversione di tendenza

Il protocollo divise Usa ed Europa. Dovremmo tagliare 120 milioni di tonnellate di Co2

ANTONIO CIANCIULLO
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ROMA – La festa per il primo compleanno dell´entrata in vigore del protocollo di Kyoto, l´intesa globale contro i gas serra che minacciano la stabilità del clima, ha un sapore agrodolce. Poteva essere un brindisi gratuito, o per lo meno a prezzo molto conveniente, invece ci costerà una tassa da alcuni miliardi di euro l´anno: il sistema produttivo italiano si è fatto cogliere alla sprovvista da un accordo che pure aveva firmato e che gode di un ampio consenso nell´opinione pubblica.
Osservando la questione dal punto di vista scientifico, infatti, si può solo lamentare il ritardo dell´iniziativa: il continuo accavallarsi di record disastrosi per i picchi di temperatura, gli uragani e lo scioglimento dei ghiacci mostra quanto la terapia contro i mutamenti climatici sia urgente.
Ma, per l´Italia, onorare gli impegni assunti risulterà particolarmente impegnativo perché finora, in molti settori energetici, abbiamo scelto la via del business as usual, forse pensando che la vecchia Europa, sponsor del protocollo di Kyoto, non l´avrebbe spuntata contro l´America di Bush. E´ andata diversamente e ora c´è da pagare il conto. La prima e più macroscopica contraddizione riguarda i gas serra. Entro il 2012 dovremo ridurli del 6,5 per cento rispetto ai livelli del 1990 e invece sono cresciuti del 13 per cento: il cammino da fare è triplicato.
Un´altra contraddizione non indifferente riguarda il fatto che il piano sui tetti delle emissioni 2005 delle industrie italiane sta arrivando solo ora in porto. Quanto costerà questo anno di navigazione al buio? «Le nostre aziende non verranno penalizzate perchè i numeri, sia pure in forma non ufficiale, sono noti da tempo», risponde Corrado Clini, direttore generale del ministero dell´Ambiente. «Inoltre non è vero che l´Italia rappresenti un´anomalia in Europa. Il problema esiste a livello continentale: molti paesi, dalla Germania alla Danimarca, hanno dovuto rivedere i loro conti. E le difficoltà di rifornimento di gas rischiano di aggravare ancora la situazione. Non ne usciremo finché l´Unione europea non troverà un raccordo tra le politiche energetiche e quelle ambientali».
Ma sul fronte italiano le critiche si moltiplicano. «Il piano nazionale di assegnazione delle emissioni nel periodo 2005-2007 fa ampie concessioni a chi possiede una centrale e penalizza chi vuole costruire un nuovo impianto», fa notare Massimo Orlandi, amministratore delegato di Energia. «In questo modo si raggiungono tre risultati negativi. Primo: si rende più difficile la concorrenza e dunque si mantengono alti i prezzi dell´elettricità. Secondo: non avendo sufficienti permessi di emissione, gli investitori che volevano realizzare una centrale più moderna ed efficiente finiranno per aspettare il prossimo triennio, quello che parte nel 2008. Terzo: in questo modo si rinviano le azioni virtuose impedendo l´abbattimento delle emissioni inquinanti».
Completamente allo sbando nel settore trasporti, che è rimasto privo di ogni seria indicazione anti smog, il sistema energetico italiano rischia così di pagare una super multa. Secondo le stime di Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club, per arrivare al traguardo previsto dal protocollo di Kyoto dovremo tagliare tra i 100 e i 120 milioni di tonnellate di anidride carbonica l´anno tra il 2008 e il 2012. Un terzo di queste emissioni potrà essere recuperato attraverso i calcoli sulla riforestazione. Per un terzo non c´è niente da fare: bisognerà pagare. Il restante terzo ha un futuro incerto: applicando politiche rigorose di efficienza potremmo guadagnarlo, altrimenti rischiamo di aggiungerlo al rosso del nostro bilancio. «Non è una piccola differenza», precisa Silvestrini. «Con scelte ambientalmente corrette ce la potremmo cavare con 3 miliardi euro l´anno: continuando a privilegiare la vecchia strada arriveremmo a 6 miliardi di euro l´anno».

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