POVERTA`. La Milano dei senza dimora
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(da “La Repubblica” mercoledì 25 gennaio 2006, Pagina IX – Milano)
IL RACCONTO
Nella notte sottozero dei senza famiglia
SANDRO DE RICCARDIS
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Lasciano i portici del corso, i vagoni fermi nelle stazioni, i vecchi materassi nelle baracche di ferro e cartone. Stringono i corpi induriti dal freddo in cappotti troppo grandi o troppo stretti, sotto cappelli di lana dai mille colori e di mille mode fa. Sono i sopravvissuti a un´altra notte di gelo in strada. Hanno l´alito pesante, le mani bruciate dal gelo, la voce roca e gli occhi stanchi. Sono imprenditori falliti, ergastolani graziati, ragazzi fuggiti di casa, padri di famiglia senza più famiglia, clandestini che lavorano dieci ore al giorno da invisibili nei cantieri della città.
Arrivano. Si fermano in via dell´Arcivescovado. A pochi metri i numeri del grande pannello sui tetti di piazza Fontana segnano le 21 e +2, la temperatura precipiterà qualche ora dopo. Diventano uno sciame di oltre cento persone che attraversa la strada quando arriva il camper della Ronda della carità che distribuisce panini, cioccolata, tè caldo, ma soprattutto maglie, coperte e sacchi a pelo. «Ogni volta c´è qualche viso nuovo», dice Magda che è qui con altri quattro volontari. Arrivano da ogni parte di Milano, dalle stazioni di Lambrate e di Garibaldi, dalla Centrale, dai campi di via Barzaghi e via Triboniano, e sono solo un frammento del popolo dei senza casa che a Milano e hinterland conta più di cinquemila persone.
«Lunedì e mercoledì la Ronda della carità, martedì Sant´Egidio, giovedì i City Angels, nel fine settimana la Croce Rossa». Ride Tex, mentre racconta la sua processione quotidiana alla ricerca di cibo e coperte. Ha 34 anni, 13 fratelli e nessun aiuto. Metà della sua vita l´ha trascorsa in strada. «A 17 anni sono stato sfrattato. Da allora sono sempre in fondo alle graduatorie per la casa popolare. Evidentemente non sono abbastanza sfortunato» ride amaro. «Dormo al cinema Odeon ma mi piace cambiare, conoscere altra gente». Prende una coperta e scompare nella notte, mentre al telefono dei volontari arrivano segnalazioni da tutta la città. In piazza Carbonari, sotto il ponte, c´è un vecchietto che sta male. A Cadorna si dorme sulle panchine.
Luciano si presenta come un «ergastolano graziato». Elegantissimo, scarpe nuove, cappello di panno, sciarpa scozzese, racconta la sua vita in pillole: 60 anni, due infarti, a 35 anni un´azienda di 133 dipendenti. «Poi sono diventati 130 – dice – tre mi avevano fregato e li ho uccisi. Sono stato graziato un anno fa». Ha lasciato il carcere di Rimini, non ha trovato nulla fuori e ora racconta la guerra tra poveri: «Ci sono tante mense. C´è gente che va a mangiare alle 11 in una, alle 12 in un´altra, alle due in un´altra ancora. Perché non fanno un orario unificato? E la sera molti prendono i panini dai volontari e li vendono a un euro a San Babila». Luciano vive sui treni. Sulle carrozze nei depositi della Centrale. «Ma alle 5 i macchinisti iniziano a lavorare. Puoi andare a dormire sulla 90».
Molti non hanno neppure l´euro e 50 per il dormitorio comunale. «Così prendono una coperta da noi e spariscono – spiega ancora Magda – con tanto freddo, è talmente prezioso il posto che trovi che non lo dici a nessuno». Ogni sera la Ronda della carità dà circa 15 coperte, quindici volti nuovi che chiedono aiuto. Come i due Mirko, bulgari: 21 e 30 anni, clandestini. «Lavoriamo nei capannoni dell´hinterland – dicono – scarichiamo vestiti e articoli per grandi magazzini». Vivono a Rogoredo, in una delle tante favela invisibili che solo un incendio può, per qualche giorno, illuminare di sdegno collettivo. «Siamo quattro in ogni baracca – raccontano – vorremmo trovare di meglio».
Ammassi di coperte ai piedi delle vetrine, scatoloni sui sagrati delle chiese, borsoni come cuscini nascosti dalle aiuole dei bar. Dopo mezzanotte ogni angolo del centro nasconde un corpo che resiste al freddo ormai sotto zero. In largo Corsia dei servi due dormono sulle impronte nel cemento lasciate dagli ospiti dei Telegatti: si russa accanto alla firma di Sidney Poitier e a quella del re delle telenovele Edoardo Palomo. Si dorme davanti alle porte della basilica di San Carlo e alla chiesa di San Fedele. Ai piedi del palazzo della Fondiaria in corso Matteotti, Emanuele e Tex dormono in un monolocale di cartoni Bric´s. Un recinto alto un metro e dentro, come in un salotto, i due discutono tra un thermos e due tazze di caffè. «Vivevo ad Assago – dice Emanuele – tre anni fa sono stato sfrattato. A trent´anni nessuno ti prende più a lavorare. Cercano i giovani, fanno contratti di apprendistato e pagano una miseria». Poco più in là un´altra casa di cartone. Miguel, Luca e Antonio, due vicentini e un napoletano trentenni, dormono sotto un grande piumone bianco. «Eravamo al dormitorio di via Maggianico. Poi il Comune l´ha chiuso». I tre hanno scritto i loro nomi sui cartoni. «La mattina la polizia ci sveglia bruscamente: ora possono chiamarci per nome. Lasciamo sempre pulito – dicono – quello del bar ci presta il mocio, i cartoni li mettiamo vicino al muro. Abbiamo scritto sopra: “Non toccare: questa è la nostra casa“. Ma toccano lo stesso. Dicono che siamo la rovina delle loro vetrine».
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