MOVIMENTI. Donne, usciamo dal silenzio. La manifestazione di Milano

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(da Il manifesto, 15 gennaio 2006)

E adesso ascoltateci

Travolgente corteo di donne e uomini ferma l`attacco alla 194. E strattona il centro sinistra

MANUELA CARTOSIO
MILANO
Cinquantamila, 100 mila, 150 mila, 200 mila. E` l`escalation travolgente, dalla partenza di fronte alla Stazione centrale all`arrivo in piazza Duomo, della manifestazione di Milano per la difesa della legge 194 e la libertà femminile. Come raccontare una marea di persone, un miracolo politico, un`emozione collettiva? Cominciando a dire che chi c`era – donne e uomini di tutte le età – non si è annoiato: vivace, colorato, allegro il corteo non è stato la ripetizione stanca di un rito. Subito dopo, vanno fatti i complimenti a chi ha buttato il sasso nello stagno e ha raccolto un successo, previsto ma non di queste dimensioni. La manifestazione di ieri «ferma» l`attacco subdolo alla legge 194. Le ingerenze vaticane continueranno, ma la politica ufficiale dovrà tener conto della forza e del protagonismo delle donne. Compreso il centro sinistra: basta sudditanze, moderatismi e genuflessioni, mandano a dire le/i 200 mila. Soprattutto a Prodi e Rutelli, ma più in generale all`Unione. Ieri a Milano non è sfilata solo l`opposizione al governo Berlusconi. E` sfilata la voglia di un`opposizione diversa, che non releghi le donne tra le «varie ed eventuali» dell`agenda politica.

I nostri rapsodici incontri iniziano, di fronte alla Stazione centrale, con una scopa. In mano a Nori, venuta da Magenta per dire «le streghe son tornate e gridano a Storace la 194 è nostra e nessuno ce la tocca». Per spazzare Nori la scopa la cede più che volentieri, «ma serve per darla in testa a chi se lo merita». Le donne fiorentine camminano sotto una lunga striscia di tela bianca con trenta buchi da cui escono le teste. Spiegazione? «Uniamo le teste per liberare i corpi». Su un camion hard rock tre ragazze, boa di struzzo al collo, ballano e inalberano la scritta «mai state zitte». Sono tra quelle che non hanno digerito lo slogan «usciamo dal silenzio», aggiornato ieri in «siamo uscite dal silenzio». Recita così lo striscione d`apertura turchese, retto da Lea Melandri (apprensiva e commossa alla partenza), Assunta Sarlo, Susanna Camusso, Cristina Pecchioni, Maddalena Gasparini.

Le ragazze del circolo Lilith di Latina rivendicano «La prima parola e l`ultima… e anche quelle di mezzo». Un salto di un paio di generazioni e siamo da Grazia, Udi di Catania: «La 194 è frutto di una battaglia condotta sul nostro amaro vissuto. Non deve andare dispersa. Noi donne siamo intelligenti e diffidenti. Non crediamo a chi dice che la legge non è in discussione». Vogliono aggirarla mandando i «vigilantes» nei consultori, interviene Mirella, milanese over sessanta. Stessa età di Nina, giunta da Genova con questo cartello fatto in casa: «Tremate, tremate, le streghe son tornate. Con le figlie e le nipoti non avrete i nostri voti». Impossibile sostenere che questa manifestazione è una ripetizione fiacca del passato: «Per la prima volta ci sono anche gli uomini, tutti di origine controllata».

Sfilano le «Famiglie arcobaleno», associazione dei genitori omosessuali, Soggettività lesbica, Fecond-Azione, Libera-Mente. E persino un «Ruini basta!» firmato dalla Libreria delle donne (roba mai vista). Con il cardinale se la prendono le Donne in nero di Torino: «Ruini metti giù gli zampini». Da Torino viene anche la «disobbediente» Danila con il simbolo della Margherita appuntato sulla schiena: «Ci chiamiamo Democrazia e libertà e io disobbedendo al mio partito, onoro il nome che ci siamo dati».

Ombrellini di carta rosa colorano il gruppo bolognese Sexyshock. Si chiamano tutte «Betty Boop». Noiose le manifestazioni? «Dipende dalle pratiche, dalle cose che ci metti dentro e da come le esprime», risponde una delle Betty. Altro camion musicale, fritto misto di centri sociali milanesi e un cartello «Non dovremo mica ricominciare tutto da capo?». Canti e slogan bilingui, italiano e tedesco, delle donne di Bolzano. E` piccola, ma tra loro spunta Lidia Menapace. E poi la banda degli ottoni, cappelli di carta a punta, messaggi legati al collo: «Abbasso il papa re», «Siamo già consapevoli», «Movimento per la vita fuori dai consultori». Francesca, marchigiana, nera dai capelli agli anfibi, ci ordina di scrivere che «ci vuole meno-pausa e più movimento». E` con la figlia Sara, 13 anni, «oggi le passo la fiaccola perché questa è una chiamata alle armi». E le armi quali sarebbero? Indica i piedi, «per camminare insieme», e la figlia, «adesso tocca a loro». Gli striscioni dei partiti (Ds, Rifondazione, Verdi, Pdci, Rosa nel pugno, Partito Umanista) li diamo per scontati.

Un melograno di carta colorata e Ottavia Piccolo aspettano sul palco in piazza Duomo. Il corteo stenta a farsi largo nell`ultimo tratto del percorso. Si comincia ugualmente, perché alle 16,30 è previsto il «contatto» con piazza Farnese. Saluti, testimonianze, letture di poesie e di alcuni dei tantissimi messaggi arrivati sul sito www.usciamodalsilenzio.org. Puntuale arriva la voce di Lella Costa, inviata speciale a Roma della manifestazione di Milano. Cristina Gramolini, di Arcilesbica, rappresenta «Tutti in pacs» in piazza Duomo: «Queste due piazze dicono che siamo qui non solo per difendere, ma per estendere». Susanna Camusso, segretaria della Cgil lombarda, è l`unica ad avere la voce da comizio, ma non fa un comizio: «E` vero, noi non siamo mai state zitte. Però abbiamo dovuto essere qui in tante per farci ascoltare». L`impegno a stare insieme «anche dopo» trova già una data: 11 febbraio a Napoli, per tutte le donne del Sud che non hanno potuto essere a Milano.

Si chiude con musica e balli, anche sul palco. Unico neo di una giornata bellissima, l`assenza delle donne immigrate. Ben presenti, però, nella riflessione che ha preparato la manifestazione e nelle parole pronunciate dal palco dalla cilena Karina Scorzelli, mediatrice culturale.
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14 GENNAIO

L`ingombro degli anni Settannta

IDA DOMINIJANNI
E` una diga: lunga, grande, possente, e per lo più – ironia della sorte, dato lo slogan su cui s`è organizzata – silenziosa. Serve a dire: da qui non si passa. Non passa né Ratzinger né Ruini, non passano i teocon e non passano i moderati, non passa nessun politico, nessun segretario di partito credente in pubblico o in privato, nessuna militante della vita con la faccia dolce e il caschetto perbene come quelle che vanno a parlare dell`embrione in tv. Il corteo di Milano manda forte questo messaggio, che peraltro tutti conoscono, anche quelli che fingono di prescinderne: la 194 non si può toccare, perché l`autodeterminazione sull`aborto è la linea invalicabile della resistenza femminile. E si porta appresso una catena associativa che riguarda la responsabilità sulla maternità, la sessualità, i rapporti con l`altro sesso, la sovranità sul proprio corpo. Se di tutto questo si sente parlare meno, o solo meno rumorosamente di trent`anni fa, non è perché ci sia calata sopra una coltre di colpevole silenzio femminile ma solo perché tutto questo è acquisito, sedimentato e trasmesso. A fare diga sulla 194 e su tutta la catena associativa suddetta c`è comunque la generazione degli anni settanta, le femministe e quelle che dal femminismo sono state variamente investite, nei partiti, nei sindacati, nei consultori, nella vita, e molti uomini, i quali a differenza di trent`anni fa non guardano dagli spalti ma sfilano dentro, muti ovviamente, come se in poco meno di un secolo si fosse ribaltata la situazione che muoveva l`ammonimento di Virginia Woolf a non farci annettere, noi donne, nel corteo degli uomini colti. Sono perlopiù citazioni dagli anni settanta anche gli slogan – pochi – e le scritte, salvo quelli riservati a Ruini e dintorni che negli anni settanta non c`era; e bisogna aspettare l`ultimo tratto del serpentone, più colorato e più sonorizzato, per vedere il salto di generazione, le giovani e i giovani, che citano anche loro parecchio dagli anni settanta, come se l`essenziale fosse stato già detto allora e ci fosse poco da aggiungere o da aggiornare alla parola delle madri che tengono la testa del corteo. Certo il corteo avrebbe avuto un`altra faccia, se l`ultimo tratto fosse stato invece il primo, ma non è così e non può essere per caso.

Sarà perché è sempre lì, agli anni settanta e alla generazione degli anni settanta, che bisogna tornare quando il contesto sembra regredire piuttosto ai cinquanta o a chissà quando e sul piatto c`è la difesa e il rilancio della libertà allora guadagnata. Il decennio maledetto torna a galla in questi casi come il rimosso della transizione italiana, tanto malignamente negletto nel discorso politico quanto benignamente infiltrato nella memoria sociale. E c`è di che essere soddisfatte, se quella memoria torna al presente con la potenza di una diga. Che come tutte le dighe però molto argina, e qualcosa blocca. E come una grande potenza materna, tutto comprende, molto autorizza, e qualcosa lascia in ombra. La parola e la scommessa sul presente di chi è venuta o è venuto dopo, e non può che trovarle a partire da sé.

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