Milano: Neonata uccisa dal gelo nella baraccopoli. E` la terza vittima

by redazione | 25 Gennaio 2006 0:00

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(dal Corriere della Sera, 26 gennaio 2006)

Neonata uccisa dal gelo nella baraccopoli

Termometro a dieci gradi sottozero. È la terza vittima nel Milanese in quattro giorni

Il sentiero si stacca da via Novara ed entra nei prati. Cento metri nel fango, immondizia e lattine, qualche albero. Le sei baracche sono in una radura, il ghiaccio attaccato alle lamiere. Rosaela Maria, nata a Pisa, figlia di nomadi romeni, dormiva su un materasso appoggiato su assi di legno. Era avvolta in quattro o cinque maglie di lana. È morta in una notte con dieci gradi sotto zero. Aveva 27 giorni. Periferia di Legnano, poche centinaia di metri dal confine con Busto Arsizio. È accaduta in questa campagna abbandonata, la terza tragedia del freddo e della miseria in pochi giorni.
Sabato scorso Maria Caric, 53 anni, rom romena, senza una gamba e con un braccio atrofizzato, non è riuscita a scappare da un incendio divampato dentro i capannoni dell’ex Falck, a Sesto San Giovanni. Cercava di scaldarsi con una candela o con un falò. Calava la sera e la temperatura era già sotto zero. Due giorni dopo Vasanta P., 57 anni, cingalese, disoccupato ma in regola col permesso di soggiorno, non si è alzato dalla panchina del giardinetto in cui dormiva da giorni, in zona Bonola, a Milano. La temperatura era a meno 4 gradi. Oggi arriveranno correnti di aria meno fredda dal Sud. Porteranno la neve, ma le temperature dovrebbero alzarsi, almeno di qualche grado.
Le ambulanze della Croce rossa arrivano nelle baracche alla periferia di Legnano poco dopo le 8 di ieri. La neonata è morta nella notte. La madre, Florentina, 21 anni, appena sveglia l’ha presa in braccio, ha provato a scuoterla, ha urlato. I vicini hanno chiamato i soccorsi. Racconta ai carabinieri il padre Gabriel, 30 anni: «Da qualche giorno mia figlia faticava a respirare, teneva sempre la bocca aperta, pensavamo a un raffreddore». Davanti ai militari ammette di non aver mai portato Rosaela Maria in ospedale per un controllo: «Avevamo paura che ce la togliessero». Se l’autopsia confermasse che la piccola è morta anche per problemi di salute, i genitori saranno accusati di omissione di soccorso. Altrimenti, al termine delle indagini, verranno espulsi come clandestini.
Nella campagna di Legnano, Gabriel e Florentina sono arrivati lunedì sera. Hanno chiesto aiuto ai quindici rom che vivono lì da qualche settimana, dopo lo sgombero dai boschi ai margini del quartiere San Paolo. La comunità li ha accettati, ha offerto loro una baracca: «Venivano da Pisa – racconta una donna del campo – presto sarebbero andati via da qui, volevano tornare in Romania con la bambina». Ora sono in un albergo di Legnano, distrutti, seguiti dai Servizi sociali. Rosaela Maria, nata a Pisa, vissuta 27 giorni, morta di freddo, era una cittadina italiana.
Francesco Sanfilippo

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LA CARITAS
«Volontariato e istituzioni devono collaborare di più» Don Davanzo: servono persone che cerchino e strappino queste persone alla loro solitudine

Don Roberto Davanzo, direttore Caritas: ieri è toccato a un bimba… «È così, e ognuna di queste tragedie ci chiama in causa come società, istituzioni, individui».
Possibile morire di freddo oggi?
«Purtroppo sì, e per due ragioni. La prima è la quantità degli emarginati a Milano e nell’hinterland: che attraggono un numero sempre crescente di disperati alla ricerca di vite più decorose di quella da cui scappano».
E la seconda?
«Il fatto che queste persone non sono solo poveri. Combattono con la solitudine, i problemi psichici, la paura. Come quella di essere espulsi. Il cingalese morto giorni fa lo aveva rifiutato, l’aiuto».
Quindi?
«Non bastano i muri, per aiutarli. Servono persone che li cerchino, ascoltino, e strappino alla loro solitudine».
Chi deve farlo?
«Non possiamo aspettarci dalle istituzioni più di ciò che fanno nel concreto, ma dobbiamo chiedere che si aprano a un supplemento d`anima».
Tradotto cosa significa?
«Che serve più collaborazione tra volontariato e pubblico, non – attenzione – come delega alle associazioni di ciò che il pubblico non può offrire, ma come co-progettazione, attorno a un tavolo, di ciò che serve per affrontare la realtà».
P.F.

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