I volontari del 2006. L`identikit da una ricerca in Gran Bretagna

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(da “Vita“)

I volontari del 2006

Le nuove strade dell`altruismo. Il volontario cambia faccia: un identikit sorprendente da una grande ricerca realizzata in Gran Bretagna

Il volontariato migliora la vita sessuale. Lo giura il 17% degli inglesi tra i 18 e i 24 anni che nel 2004 si sono impegnati per gli altri. E se pensate che sia un fattore irrilevante rispetto all`idealismo, l`altruismo, la gratuità e gli altri buoni sentimenti da volontario, vi sbagliate. In Gran Bretagna, è con i benefit che oggi si promuove l`impegno per gli altri: il volontariato, per esempio, aiuta a ridurre il consumo di alcol o sigarette (nel 22 e 30% dei casi) e a perdere peso (20%) (lo dice lo studio Make a difference Day della Icm Research). Ma pesano anche “benefit” di carriera: secondo il 43% dei datori di lavoro – svela il Time Bank employer attitude survey – i dipendenti che fanno volontariato hanno più chance dei colleghi di essere promossi e di ottenere aumenti.

Altruismo interessato
Davanti a studi così, più di qualcuno potrebbe scandalizzarsi. Perché scandalizzarsi, o incolpare Mtv e le charity modaiole con testimoni alla Angelina Jolie di aver snaturato e “glamourizzato” l`impegno per gli altri, è più facile che ammettere che il volontario di oggi è un volontario interessato. «I nostri utenti cercano tre cose: sfide, esperienze utili per una futura carriera e la possibilità di fare la differenza», dichiara, in homepage, il portale www.do-it.org.uk cliccatissimo dagli inglesi in cerca di un lavoro non retribuito. E lo studio The 21st Century Volunteer, commissionato dalla potente Associazione degli scout inglesi e pubblicato a novembre 2005, fa un passo ulteriore. «Abbiamo a che fare con “selfish volunteer”», spiegano gli autori Elisha Evans e Joe Saxton, «persone che attribuiscono la stessa importanza a ciò che danno al volontariato e a ciò che da esso ottengono. Sempre più i volontari vorranno sapere cosa ci guadagnano: si tratti di un`esperienza di tipo lavorativo, di un`esperienza che ti cambia la vita, di un`esperienza che spezza la solitudine o la depressione».

È una contraddizione in termini questo selfish-volunteer, o volontario egoista? E, soprattutto, le charity devono snobbarlo o adattarsi alle sue esigenze? Alla prima domanda, Evans e Saxton rispondo che «il volontariato è una delle poche sfere della vita in cui i singoli possono davvero fare la differenza». Da qui il loro essere sempre più esigenti e i rischi che corrono le charity poco disposte a scendere a patti con l`imperante selfish altruism, o altruismo interessato.

Secondo Peter Hammond, di The Samaritans, il rischio numero uno è perdere volontari a favore della concorrenza: «Le organizzazioni non profit devono imparare che vendono un prodotto, un`esperienza, un particolare significato, e che i volontari faranno shopping in giro finché non troveranno il prodotto che risponde alle loro esigenze». Ma c`è addirittura chi teme che la concorrenza si estenda fuori dal terzo settore: «La competizione non è solo tra enti non profit, tra noi e i Samaritani, per esempio», precisa John Ramsey di Citizen Advice, «ma tra il non profit, il cinema, le vacanze o il golf».

Da volontario ad attivista
Tra le charity – poche per ora – già venute a patti con l`altruismo interessato dei volontari, c`è Oxfam. «La fuga di volontari si combatte riconoscendo che hanno necessità e aspettative proprio come le organizzazioni che le impiegano», spiega Carolyn Myers. E se, d`accordo con la Myers, molte sigle sociali intravedono in un volunteer-management sempre più professionalizzato la via d`uscita alla carenza di volontari, soprattutto giovani, nel Regno Unito non manca chi sostiene che sia la parola stessa volontariato a dover cambiare. «Così come la usiamo, scoraggia un gran numero di possibili “reclute”, soprattutto tra i ragazzi fra i 16 e i 25 anni», confessa Adrian Smith di Crime Concern.
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L`articolo integrale per i soli abbonati a VITA o sul numero di VITA in edicola fino a venerdì!

Speciale “I nuovi volontari“ insieme al settimanale in edicola:
– Perché l`associazionismo non intercetta le spinte, di Marco Revelli;
– La gratuità s`impara (bene) sui banchi, di Benedetta Verrini;
– Cooperanti per caso. E poi per la vita, di Sara De Carli;
– La cultura non ha prezzo, di Sara De Carli;
– Papà e mamma, reclutatori dieci e lode, di Benedetta Verrini;
– Qui New York, gli incentivi fan bene all`impegno, di Carlotta Jesi;
– Valerio Onida: che cosa ci faccio io dietro le sbarre, di Stefanno Arduini;

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