GLOBALIZZAZIONE. Il malessere che arriva col 2006.Articolo di Stiglitz
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(da “La Repubblica“, lunedì 2 gennaio 2006, pagina 1)
Il malessere globale che arriva con il 2006
JOSEPH E. STIGLITZ
Con il 2005 il formidabile consumatore americano ha potuto godere di un altro anno eccellente, e ha contribuito a sostenere la crescita economica globale, seppure ad un ritmo più lento rispetto al 2004. Come già avvenuto in anni recenti, ha consumato al suo livello di reddito – o addirittura sopra – e gli Stati Uniti nel complesso hanno speso ben al di là delle loro possibilità, prendendo in prestito soldi dal resto del mondo ad un ritmo particolarmente febbrile nel 2005: oltre due miliardi di dollari al giorno.
Un anno fa la maggioranza degli esperti aveva affermato che ciò era insostenibile. Evidentemente, invece, tutto ciò è stato sostenibile, quanto meno per un altro anno. Tuttavia, è pur sempre vero che qualsiasi cosa sia insostenibile non è sostenibile per sempre e questo nel 2006 creerà maggiori rischi per l´economia degli Stati Uniti e l´economia globale.
Nel 2005 due imprevedibili eventi economici hanno prolungato i tempi rosei. Il primo è che mentre la Federal Reserve statunitense ha continuato ad aumentare i tassi di interesse a breve termine, i tassi a lungo termine non sono aumentati di pari passo e questo ha consentito ai prezzi del settore immobiliare di continuare a salire. Questo fatto è stato quanto mai importante per sostenere la crescita globale, perché la performance della più grande economia del mondo è stata alimentata negli anni recenti proprio dal settore immobiliare, grazie alle singole famiglie che hanno rifinanziato i mutui delle loro case e hanno speso parte dei loro profitti, e visto che gli alti prezzi hanno indotto a costruire sempre di più.
È tuttavia improbabile che si possa andare avanti così. I tassi di interesse a lungo termine quasi sicuramente alla fine inizieranno a crescere e la definizione “alla fine“ pare sempre più potersi identificare con l´anno prossimo. Se così fosse, gli americani dovranno spendere di più per onorare i loro debiti: questo li lascerà con meno denaro da spendere per il consumo di prodotti e servizi. Inoltre, i prezzi del settore immobiliare molto verosimilmente assai presto smetteranno di salire. In effetti potrebbero persino iniziare a crollare.
Di conseguenza il rifinanziamento dei mutui molto verosimilmente arriverà ad una battuta d´arresto, e non rimarranno più soldi da attingere dal settore edilizio per sostenere l´abbuffata consumistica americana. Per entrambi questi motivi la domanda complessiva calerà.
È mai possibile che il settore aziendale, che ha contanti in profusione, controbilanci la stagnazione aumentando gli investimenti? Potranno benissimo esserci degli aumenti negli investimenti lordi, a mano a mano che le attrezzature obsolete e il software andranno sostituiti. Ma vi è già qualche indizio da cui si evince che l´innovazione sta rallentando, forse a causa degli irrilevanti investimenti effettuati nel settore della ricerca negli ultimi cinque anni.
Ad ogni buon conto, anche se le aziende traboccano di contanti, di solito esse non espandono gli investimenti durante i periodi in cui i consumi rallentano. L´incertezza in ambito economico molto verosimilmente indurrà alla cautela le società che devono prendere la decisione di investire. In breve, dunque, è probabile che moderare gli investimenti esaspererà il rallentamento dei consumi più di quanto un´accelerazione degli investimenti possa controbilanciarlo.
Questo, tuttavia, non è il solo motivo che induce a formulare una sconfortante previsione per l´America e il mondo nel 2006. La seconda sorpresa del 2005 è stata che mentre il prezzo del petrolio è aumentato molto più di quanto si fosse previsto, l´effetto di rallentamento sull´economia è parso in qualche modo presentarsi in sordina quasi ovunque, quanto meno fino all´ultima parte dell´anno. A causa del più alto prezzo del petrolio, per esempio, la spesa americana per le importazioni di greggio è aumentata di circa 50 miliardi di dollari l´anno: si tratta di denaro che sarebbe stato essenzialmente speso per acquistare prodotti made in America.
Per gran parte del 2005 gli americani si sono comportati come se non credessero fino in fondo che il prezzo del petrolio potesse rimanere alto, almeno per un pezzo. Questo è meno sorprendente di quanto possa sembrare: gli studi econometrici fanno capire che occorrono da uno a due anni prima che si avvertano gli effetti dell´aumento del prezzo del petrolio. Adesso che si prevede che il futuro prezzo del petrolio si manterrà tra i 50 e i 60 dollari al barile per i prossimi due anni, la richiesta di automobili che consumano quantità esorbitanti di benzina si va drasticamente riducendo, portandosi via anche le rosee prospettive delle case automobilistiche americane, le cui strategie avevano scommesso proprio sul basso prezzo della benzina e sullo smodato amore degli americani per i Suv.
L´alto prezzo del petrolio di sicuro attenuerà la performance economica anche nel resto del mondo, anche se altrove le prospettive di crescita appaiano migliori che negli Stati Uniti. La crescita della Cina continua a sbalordire tutti, ad ogni latitudine: in effetti i nuovi dati concernenti il suo Pil suggeriscono che l´economia cinese è più forte del 20 per cento rispetto a quanto precedentemente ritenuto. Inoltre la forte crescita cinese avrà ripercussioni su gran parte di tutta l´Asia, specialmente (in una forma in qualche modo diversa) sul Giappone.
L´Europa continua a presentare un quadro assai differenziato, con la Banca Centrale Europea che in modo quasi perverso si ostina ad aumentare i tassi di interesse anche se l´economia europea necessiterebbe invece di ulteriori incentivi per garantire una ripresa. Come se ciò non fosse abbastanza grave, il nuovo governo tedesco si ripromette di aumentare le tasse. L´irreprensibilità fiscale, a tempo debito e nel posto giusto, è sicuramente encomiabile, ma questo è il momento sbagliato, oltre ad essere il luogo sbagliato. Le prospettive di ripresa della Germania saranno paralizzate.
Il più grosso rischio del 2006 è che i problemi americani che da tempo si vanno preparando arrivino alla loro fase cruciale su un piano globale: gli investitori, tenendo finalmente conto del grande deficit fiscale strutturale, dello sbadigliante gap commerciale, dell´alto grado di indebitamento dei nuclei famigliari, potrebbero, colti dal panico, riprendersi i loro soldi investiti negli Stati Uniti. Oppure, in alternativa, i crescenti tassi di interesse e una drastica flessione del mercato immobiliare reale potrebbero indebolire talmente la domanda dei consumi da far slittare l´economia nella recessione, travolgendo gli esportatori che in altri paesi dipendono dal mercato statunitense.
In entrambi i casi il governo statunitense, già adesso contrastato da mastodontici deficit, potrà sentirsi impotente a reagire con l´adozione di una politica fiscale anticiclica. Essendo la fiducia nella gestione dell´economia da parte di Bush irrisoria quanto la fiducia nella sua gestione della guerra in Iraq, vi sono buoni motivi per temere che qualora una di queste crisi dovesse presentarsi essa non sarà gestita in maniera opportuna.
È molto più probabile, tuttavia, che il 2006 sarà semplicemente un altro anno di malessere generale: l´importanza della Cina nell´ambito dell´economia globale non è ancora sufficientemente forte da poter controbilanciare le inadeguatezze del resto del mondo. L´America, anch´essa, si adopererà per cavarsela alla meno peggio ancora una volta, lasciando indebitamenti ancora più colossali per il futuro.
In poche parole, il 2006 sarà dunque contrassegnato da una crescente incertezza sulle prospettive di una crescita economica globale, anche se la ripartizione dei frutti di tale crescita resta tristemente prevedibile. In America, quanto meno, probabilmente il 2006 sarà un ulteriore anno in cui gli immobili stipendi reali congeleranno, o intaccheranno addirittura, gli standard di vita delle classi medie. E ovunque è estremamente probabile che si aggravi sempre più il divario tra ricchi e poveri.
Joseph E. Stiglitz, insignito del premio Nobel per l´economia, è professore di economia alla Columbia University. È stato presidente del Consiglio dei consulenti economici del presidente Clinton e Capo economista e vicepresidente senior della Banca Mondiale.
Copyright: Project Syndicate, 2005.
www.project-syndicate.org
Traduzione di Anna Bissanti
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