GIUSTIZIA. La nuova legge sulla libertà di sparare. Caino e Castelli
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(Da “Vita“)
Legittima difesa? Uno slogan pericoloso
di Riccardo Bagnato
La riforma della legittima difesa è stata voluta principalmente da un partito, portata avanti a suon di slogan, e ora che è legge mostra già tutti i suoi limiti
“Si sentono meno sicuri rispetto ai normali cittadini, con una percezione di sicurezza al 65% rispetto all`86%, ma non vogliono dotarsi di armi da fuoco“. No, non si tratta di un recente sondaggio, ma di un`indagine condotta dall`Istituto Piepoli per conto di Confcommercio un anno fa, basata su 201 interviste telefoniche a esercenti (66 benzinai, 60 orefici e 75 tabaccai).
Il 25 novembre del 2004, infatti, due ragazzi di 17 e 18 anni avevano sparato a un benzinaio nei pressi di Lecco. Era infuriata la polemica. D`altra parte a Milano, qualche mese prima, padre e figlio avevano sparato e ucciso un giovane malvivente che aveva tentato una `spaccata` alla vetrina della loro gioielleria. L`allora prefetto Bruno Ferrante, e il sindaco Albertini, avevano gettato acqua sul fuoco: “mai stata così sicura, Milano” aveva addirittura tuonato il primo cittadino.
Non così per la Lega, che nel territorio lombardo ha la sue roccaforti elettorali e che per bocca del ministro Castelli si è da sempre schierata per la modifica della legittima difesa. E tanto ha detto e tanto ha fatto, che il 24 gennaio scorso il Parlamento ha aggiunto alcuni commi all`articolo 52 (cfr. “Legittima difesa: è legge“) del codice penale. Soddisfatto, il ministro ha potuto finalmente affermare: “Lo Stato è dalla parte di Abele”.
Casi della vita, e della morte: passa un giorno e a Verona, Michelangelo Rizzi, 41 anni, ex assessore comunale leghista, sorprende un ladro nella sua proprietà, spara e uccide l`intruso. La legge, però, già approvata in Parlamento, non è ancora uscita in Gazzetta e per quello che ne può sapere il giudice, l`ex assessore viene accusato di omicidio volontario d`ufficio.
Fatta la legge, trovato l`inganno? Non proprio, più che di inganno si tratta di problemi, seri e irrisolti.
Il primo. Se nella ricca Lombardia sono infuriate le polemiche per alcuni casi isolati, in Campania si registrano rapine, estorsioni, e relative sparatorie con morti e feriti, ogni giorno. Basti sfogliare la prima pagina di un quotidiano locale da il Mattino al Corriere di Caserta per rendersene conto. Così, quello che nasce per difendere il benzinaio di Lecco è lo stesso strumento che può usare il tabaccaio di Portici a Napoli. Cambia però il quadro di riferimento. Nel primo caso siamo in un contesto di bassa criminalità, nel secondo di alta, e soprattutto, organizzata criminalità. D`altra parte, di quello che può succedere fuori dai propri collegi, alla Lega interessa sì e no.
Secondo. Il messaggio che è passato in questi giorni è molto semplice “se qualcuno vi minaccia con o senza arma da fuoco, nella vostra casa o nel vostro negozio, nel caso non desista dal farlo a seguito dei vostri probabili ultimatum, potete sparargli”. Ora, per comprovare tuttavia che tutto ciò corrisponde esattamente a quanto è accaduto non basta la propria parola. Ed ecco che rientrano in campo – come nel recente caso veronese – quei tribunali, quei giudici e quegli avvocati che, fatti uscire dalla porta rientrano dalla finestra. Conclusione? Non si è risolto nulla, si è solo procrastinata e complicata la soluzione. Come chi, volendo dipanare una matassa, ha tentato la fortuna tirando di forza l`estremo sbagliato, col risultato di ingarbugliare ancor più il gomitolo.
Il terzo problema. Cui prodest? Alle fabbriche d`armi leggere? Le statistiche dicono che in Italia sono 36mila circa gli italiani con porto d`armi per la difesa personale (in calo dal 1999 ad oggi). Cosicché qualcuno potrebbe intravedere dietro al provvedimento l`azione pressante delle famose lobby delle armi per rianimare un mercato in flessione. Tutto lo farebbe pensare. Basti dire, ad esempio, che il 90% delle aziende di armi corte si trova a Brescia, in territorio lombardo. Sbagliato. Beretta & Co. hanno le bocche cucite. Forse qualche fabbrica minore potrebbe vedere rialzarsi di qualche numero dopo la virgola il proprio fatturato annuo. Sta di fatto, però, che in Italia non c`è una cultura dell`arma personale come nei paesi anglossassoni, e che un arma non è una forchetta: quando ci si fa male, il male è irrevocabile.
Tanto più che questo provvedimento potrebbe risultare un vero e proprio boomerang per l`industria armiera italiana. Fra maldestre sparatorie, sceriffi improvvisati, disinformazione, e incidenti domestici, l`arma potrebbe presto entrare nell`occhio del ciclone di un Micheal Moore all`italiana, diventare un simbolo negativo: nocivo proprio per chi, viceversa, le armi le vende e ne vende a milioni agli eserciti di tutto il mondo. E` quindi verosimile che una tale industria rischi un mercato plurimiliardario, sicuro, lontano da occhi indiscreti, per qualche migliaio di pistole?
Quarto (e forse) ultimo problema. Siamo in campagna elettorale e quindi dovremo purtroppo abituarci a slogan e facilonerie programmatiche. Ma quello che dice il ministro Castelli è semplicemente sbagliato, o almeno, incompleto. Perché vede, egregio ministro, nella Genesi (4,1-16), laddove si parla di Abele e Caino “il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!»“.
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