by redazione | 3 Gennaio 2006 0:00
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(da “il manifesto”, 3 gennaio 2006)
GAS.
Sulle «riserve» si danno i numeri
Solo 6 miliardi di metri cubi, stivati in vecchi giacimenti esauriti
Alta dipendenza L`84% del gas proviene dall`estero e la percentuale cresce di anno in anno. Algeria e Russia i primi fornitori, in attesa della Libia
FR. PI.
Tutti i media, ieri, si sono interrogati sulle «riserve strategiche» di gas possedute dal nostro paese. Si è così saputo che ammontano a sei miliardi di metri cubi. Sembrano tanti, ma in Italia si consumano 380 milioni metri cubi al giorno. Da questo calcolo semplicistico è nata la voce – messa peraltro in giro da autentiche autorità come l`amministratore delegato dell`Eni, Paolo Scaroni – che «sarebbero sufficienti per 15 giorni». Questo calcolo avrebbe un senso solo se si interrompessero improvvisamente tutte le linee di rifornimento attualmente in azione. Importiamo infatti dalla Russia circa il 36% del nostro fabbisogno, che arriva attraverso gli snodi di Tarvisio e Gorizia. Il 35,4%, invece, proviene dall`Algeria, attraverso i gasdotti Ttpc e Transmed e il terminale di Mazara del Vallo. Il 24% arriva dai gasdotti Transitgas e Tenp, al punto di Passo Gries, dalla Svizzera; è gas che arriva dall`Olanda, da altri paesi europei e dalla Norvegia. Appena il 16% viene estratto all`interno del paese; ma è una quota costantemente decrescente dell`approvvigionamento, perché i giacimenti italiani hanno superato da tempo il «picco» della produzione. In parole povere, si stanno esaurendo. Il 3% sbarca, liquefatto, dalle navi metanifere in Liguria, per essere poi «rigassificato» a Panigaglia. L`1% viene dalla Libia, ma si tratta di un gasdotto tutto nuovo, il Greenstream, che approda a Gela; quel piccolo punticino è il risultato di appena tre mesi di attività. Insomma, è una grande speranza.
Ma dove vengono stoccate le «riserve strategiche»? Prevalentemente nei giacimenti ormai esauriti della Val Padana. Lì infatti, sono ancora presenti tutte le infrastrutture (pozzi, impianti di trattamento e compressione, gasdotti, ecc) necessarie a rendere rapidamente disponibile il gas rimesso sottoterra. E sembra quasi una metafora del folle modo di procedere del capitalismo attuale, ridotto a svuotare buche (piene di gas) in un luogo per riempirle altrove. Le «casseforti strategiche» sono in tutto una decina, e sono controllate dalla Stogit, società che fa parte del gruppo Eni ma che è stata messa sotto osservazione – qualche tempo fa – dall`Autorità per l`energia. Non avrebbe infatti «conformato la propria condotta commerciale alle discipline in materia di condizioni di accesso e di erogazione del sevizio di stoccaggio», compormettendo il sacro valore della «concorrenza». L`autorità, perciò, ne ha chiesto più volte la privatizzazione.
La necessità di «stoccare» una parte del fas in circolazione è del resto facilmente intuibile: i volumi dei rifornimenti sono quotidianamente costanti, specie se provenieti dai gasdotti, mentre il ritmo dei consumi ha un andamento stagionale (nella stagione fredda si consuma molta più energia).
A maggior ragione per un paese come l`Italia, dipendente all`84% dalle importazioni (all`ultimo posto in Europa). E se petrolio e gas sono risorse naturali non riproducibili (quindi non dipendenti dalle «politiche economiche» esse in atto dagli uomini), altrettanto non si può dire per la sottovalutazione totale delle «risorse rinnovabili» (basti pensare dal solare che la Germania ottiene il triplo dell`energia prodotta in Italia). E anche sul gas gli esperti hanno da ridire: secondo l`Assomineraria, infatti, tra la Val Padana e l`alto Adriatico ci sarebbero tra i 100 e i 200 miliardi di metri cubi utilizzabili. Non molto (il consumo nazionale di tre anni, nel migliore dei casi) e «non strategico».
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E in Italia la lobby nucleare rialza la testa
La crisi Russia-Ucraina riaccende le speranze di quanti vorrebbero un ritorno all`atomo
LEO LANCARI
La lobby del nucleare torna ad alzare la testa. Il pretesto, questa volta, arriva dalla guerra del gas in corso tra Russia e Ucraina e dalle possibili conseguenze sull`approvvigionamento energetico del nostro paese. Un`ottima occasione per chi, come Claudio Scajola, non mai fatto mistero di accarezzare l`idea che anche da noi, in un futuro magari non lontano, si possa tornare all`atomo come fonte di energia. «Non dobbiamo nasconderci dietro un dito», ha detto in un`intervista il ministro per le Attività produttive. «Abbiamo bisogno di un mix diversificato di energia. Ci vogliono i degassificatori, ci vuole il carbone pulito, ma dobbiamo assolutamente ripartire con il nucleare». A tre mesi dalle elezioni e a meno di uno dallo scioglimento delle camere, le parole di Scajola rappresentano poco più dell`annuncio di un intento elettorale, per altro neanche nuovo. Bastano, però, per rinvigorire le speranza di quanti non hanno mai accettato il risultato del referendum del 1987, quando l`Italia disse no alla costruzione di centrali nucleari sul proprio territorio. A cominciare dallo stesso viceministro di Scajola, Adolfo Urso: «Il problema è che in Italia per troppo tempo si è lavorato sul quotidiano, perdendo di vista, sul fronte energetico, le soluzioni a medio-lungo-termine». Per il viceministro di Alleanza nazionale, la soluzione è una sola: «Non ho dubbi – dice infatti Urso – che la risposta strutturale, strategica per il fabbisogno energetico italiano sia nel ritorno al nucleare. Altrimenti, il deficit del futuro continuerà ad accompagnarci come una condanna».
Una difesa a spada tratta dell`atomo a cui si allineano anche i partiti minori della Cdl, dal Pri alla rinata Democrazia cristiana, ma destinata, almeno per il momento, a lasciare il tempo che trova. Nulla, infatti, aldilà degli intenti di Scajola e del suo vice, lascia intuire un possibile ritorno a un passato come quello nucleare e ai rischi che comporta.
Il futuro, semmai, ruota sempre intorno al gas, e alla possibilità per l`Italia di costruire i degassificatori necessari. Se ne dice convinto, ad esempio, Enrico Letta, responsabile economico della Margherita, che per uscire dalla crisi Rusia-Ucraina propone un intervento basato su due iniziative fondamentali: «La prima riguarda l`immediata convocazione di u Consiglio europeo tra i ministri dell`energia, per far assumere all`Ue la trattativa diretta tra Putin e Yushenko, e tra la Russia e la stessa Unione europea, in modo da aprire il discorso a tutto campo»., spiega Letta.
La seconda riguarda invece i direttamente il nostro paese: L`Italia, – spiega infatti l`esponente della Margherita – dovrebbe mettere a punto un piano straordinario per costruire cinque terminali di rigassificazione, cioè strumenti off shore, sul mare e fuori dalle nostre coste, che ci permettano di importare gas da paesi terzi. Finora il nostro approvvigionamento è avvenuto via tubo, principalmente da Russia Algeria e Libia, ma in questo modo potremmo arrivare molto più lontano, in medioriente, in Indonesia, nel Qatar». E l`ipotesi nucleare prospettata da Scajola? «Non risolve nulla, perché ci vogliono dieci-dodici anni per ottenere i primi risultati», dice Letta. Contrario, ovviamente, anche il portavoce dei verdi Alfonso Pecoraro Scanio, che bolla quello sul nucleare come «un dibattito assurdo su una fonte di energia pericolosa e distruttiva, oltre che costosa».
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