Finanze pubbliche e lotta all`evasione. Articolo di Santoro

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(da “il manifesto”, 3 gennaio 2006)

FINANZA PUBBLICA

Nemmeno le tasse ci potranno salvare

La lotta all`evasione è da sempre un giusto cavallo di battaglia della sinistra. Ma basterebbe per portare i conti pubblici al livello proposto dai fautori del risanamento a ogni costo

ALESSANDRO SANTORO*

A sinistra vengono spesso evocati alcuni principi quali «la difesa della progressività», «la tassazione delle rendite» e la «lotta all`evasione fiscale«. Questi principi vanno attuati, a prescindere dal gettito, per ragioni di equità e giustizia sociale. Da un punto di vista meramente numerico, tuttavia, una politica fiscale che attui questi principi può contribuire solo alla stabilizzazione del rapporto debito/Pil a partire dal 2007, come indicato da Realfonzo. Le principali imposte italiane sono l`Iva sui consumi, l`Ire (ex Irpef) sui redditi delle persone fisiche, l`Ires (ex Irpeg) sui redditi delle persone giuridiche e l`Irap sul valore aggiunto. Alcune delle proposte qui illustrate sono contenute nella Controfinanziaria 2006 della campagna Sbilanciamoci! e maggiori dettagli possono essere reperiti nella sezione «fisco e finanza pubblica» del sito www.sinistriprogetti.it. Data l`alta evasione, qualcuno ha suggerito di recente di puntare sulla tassazione dei consumi, penalizzando in particolare i beni di lusso. Sfortunatamente, ciò è incompatibile con i vincoli derivanti dall`armonizzazione fiscale europea. Sarebbe effettivamente possibile aumentare di qualche punto l`aliquota ordinaria (cioè quella applicata sulla maggior parte dei beni), ma questa manovra, che pur porterebbe rilevanti incrementi di gettito, comporterebbe presumibilmente una diminuzione della progressività complessiva del sistema.

Potenzialmente più interessanti, da un punto di vista di sinistra, sono le manovre di ridisegno delle aliquote e/o degli scaglioni dell`Ire, che peraltro vanno incontro a due limiti, uno di natura tecnica e l`altro di natura strutturale. Il limite di natura tecnica dipende dalla concentrazione dei redditi dichiarati a livelli medio-bassi. Ciò comporta, dato il sistema a scaglioni, che per aumentare la progressività e anche il gettito ci si trova di fronte a un`alternativa: o aumentare le aliquote (marginali) che si applicano solo ai redditi alti, e ricavare modesti incrementi di gettito, oppure modificare più aliquote, ricavando molto gettito ma colpendo anche i redditi medi. Per capirci, se si volesse riportare l`aliquota che grava sui redditi superiori a 100mila euro dal 43% al 45%, si potrebbero ottenere circa 1,5 miliardi di euro. Se invece, come molti propongono, si volesse abolire del tutto il «secondo modulo» tornando così al sistema in vigore nel 2003 si potrebbero recuperare 6 miliardi di euro, ma, seppure aumentando la progressività complessiva, questa manovra graverebbe comunque per un terzo sulle famiglie con reddito compreso tra 20 e 40 mila euro annui. Il limite di natura strutturale, d`altronde, dipende dal carattere individuale e parziale dei redditi inclusi nella base imponibile dell`Ire. Ne discendono l`incapacità dell`Ire di tenere in considerazione la reale condizione economica delle persone (che dipende dal reddito del nucleo familiare e non da quella del solo individuo), nonché il fatto, da molti ignorato, che tra i «poveri» secondo l`Ire vi sono molti evasori e molti dei veri ricchi non compaiono o hanno redditi ai fini Ire assolutamente inferiori a quelli reali. Quest`ultimo fenomeno è legato anche al fatto che nella base imponibile dell`Ire rientrano i redditi da lavoro e da impresa, ma non i redditi da risparmio, anche chiamati rendite finanziarie, che sono soggetti a imposizione sostitutiva con le ormai famose due aliquote del 12,5% e del 27%. Per ragioni di equità è certamente auspicabile l`unificazione dell`aliquota sugli interessi, sui guadagni di capitale e sulle plusvalenze al 23%, come ormai molte volte discusso. Va peraltro ricordato che, nel migliore dei casi, questa manovra potrebbe portare a un incremento del gettito non superiore ai 4 miliardi di euro, e che queste somme sarebbero molto volatili in quanto legate all`andamento dei mercati finanziari. Infine, in tema di Ires e di Irap è improbabile che si possa andare a ritocchi che ne aumentino il gettito (per l`Irap vi sono semmai numerose proposte in senso contrario, anche a sinistra).

Come già argomentato in altro articolo su questo giornale, bisognerebbe piuttosto cercare di ridurre l`evasione dei redditi d`impresa e da lavoro autonomo, essendo ben consapevoli del fatto che non esistono ricette miracolistiche e che sarebbe assurdo ricominciare per l`ennesima volta da zero. Si tratterebbe quindi di riconsiderare gli studi di settore e la normativa sulla società di comodo in modo da rendere più efficiente l`azione di accertamento. Per fornire un`indicazione quantitativa, le misure di rafforzamento degli studi di settore contenute nella prima versione del disegno di legge finanziaria per il 2005 venivano stimate in circa 3,8 miliardi di euro, ma neppure per un importo così modesto a fronte dell`enorme evasione italiana vi fu la forza politica per andare avanti. Ulteriori (e possibili) strumenti di miglioramento degli accertamenti hanno un impatto difficilmente quantificabile e comunque darebbero il loro apporto solo nel medio periodo. Simile il discorso per la riforma della tassazione della rendita immobiliare (richiamata anche nelle tesi congressuali della Cgil), anche se in questo caso la revisione dei valori catastali avviata l`anno scorso sta cominciando a dare i primi risultati.

In sintesi, considerando i valori massimi, le misure «di sinistra» e praticabili porterebbero non più di 15 miliardi di euro, ovvero circa l`1% del Pil. Dato anche lo scarso grado di affidabilità dei conti attuali e le molteplici esigenze sociali ed economiche del paese sembra del tutto improponibile che queste politiche fiscali siano in grado di permettere qualcosa di più rispetto alla stabilizzazione del rapporto debito/Pil nel 2007. Come argomentato da Realfonzo, bisogna distinguere il livello del debito rispetto al suo andamento nel tempo ed è la stabilizzazione del rapporto debito/Pil, a seguito del suo aumento nel 2005 e nel 2006 e con tassi di crescita dell`economia inferiori ai tassi di interesse, che può essere conseguita se si vuole lasciare lo spazio necessario per politiche pubbliche di sviluppo. L`alternativa delle «lacrime e sangue» richiederebbe politiche fiscali molto diverse da quelle qui prospettate e/o massicci tagli alla spesa pubblica e ulteriori privatizzazioni. Non è questo ciò che serve al Paese.

*Università di Milano-Bicocca

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