COOPERAZIONE. Lo scandalo è l`omologazione. Intervento di Enzo Mazzi

by redazione | 18 Gennaio 2006 0:00

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(da il manifesto, 18 Gennaio 2006)

SINISTRA
Coop, lo scandalo è l`omologazione

ENZO MAZZI
La Coop sei tu, chi può darti di più? Lo slogan pubblicitario contiene in sintesi la destrutturazione del movimento cooperativo. Dal protagonismo di base che ne caratterizza la nascita (la coop sei tu) all`omologazione consumista in questa fase di regressione orale della modernità (chi può darti di più). E` di questo che bisogna parlare. Lo dice, mi sembra, in termini diversi, più direttamente politici, con la lucidità e la competenza che le è propria, Rossana Rossanda nell`editoriale del manifesto di giovedì 12 gennaio. «A che mira tutto questo starnazzare?». All`interno di un processo di omologazione normalizzatrice lo «scandalo» Unipol si ridimensiona di molto. E` l`omologazione che è in sé scandalosa o meglio rovinosa.E non possiamo parlare solo delle responsabilità dei dirigenti. Parliamo di noi: clienti coop, magari con la tessera soci in tasca per accumular punti, se non con il prezioso gruzzoletto nel prestito sociale. Riflettiamo sulle nostre responsabilità in questo scivoloso rischio di totale omologazione di una realtà quale la cooperazione nata con forti valori di partecipazione dal basso, democrazia di base, solidarietà popolare.

Non per diluire la responsabilità dei dirigenti nel pantano di una corresponsabilità generalizzata. Troppo comodo. Ma per andare un po` più a fondo nel ricercare le cause e approntare rimedi, se ci sono. Prendiamo questo cadere dalle nuvole: «non sapevamo». Forse è vero ed ho fiducia nella credibilità di alcuni dirigenti politici che lo dicono.

Ma non è proprio lì il nocciolo del problema? Che la realtà della cooperazione abbia potuto destrutturare e annullare così radicalmente la partecipazione, la democrazia interna e la solidarietà. Che i manager abbiano avuto una delega così totale. Quel «non sapevamo» non è l`epitaffio sulla tomba del protagonismo popolare? Ed io pur nella mia insignificanza mi sento chiamato in causa.Le cooperative sono nate, per affrontare il perverso intreccio fra sviluppo urbano-industriale e disagio sociale, da quell`humus di spontanea solidarietà che ha sempre caratterizzato i ceti popolari specialmente nei momenti di emergenza.

Nel primo decennio del `900 i «poveri» censiti dagli uffici comunali fiorentini comprendono quasi la metà della popolazione.

Ma non è solo per riuscire a mangiare almeno una volta al giorno che i poveri mettono in atto strategie di cooperazione e mutualità. Lo fanno anche per porre le fondamenta di una nuova identità collettiva di fronte alle sfide della trasformazione industriale-capitalista. La cooperazione è la risposta popolare al capitalismo padronale che considerava l`operaio come merce funzionale al profitto. La dignità umana del «socio» era il valore supremo della cooperazione. E di conseguenza anche la dignità del lavoro e dei prodotti del lavoro.

Ma oggi la cooperazione rischia di essere ingoiata dal nuovo capitalismo degli gnomi senza volto. La produzione di beni fondamentalmente non paga più; meglio far lavorare il denaro al posto delle persone. Non alla fabbrica, bensì alla borsa appartiene il futuro. Il mercato totale funziona nel modo migliore quando è astratto: con le unità astratte di denaro e con gli indici delle necessità come merce. Esso si lascia digitare meglio e si tiene libero dalle masse umane. Gli uomini senza mercato non hanno futuro. I mercati senza uomini ce l`hanno. E dunque bisogna ripartire alla ricerca di una nuova identità collettiva. Se vuol salvare l`anima la cooperazione deve anch`essa rinnovarsi, quasi rinascere.

Non basta che offra merci in concorrenza spietata con un mercato globale impazzito. Né tantomeno basta che offra servizi anonimi agli enti pubblici a prezzi concorrenziali che obbligano a trascurare la dignità e talvolta i diritti dei soci lavoratori. La cooperazione deve ritrovare la via del protagonismo di base aprendosi ai servizi diretti alle persone e alla natura. «I beni privati (i prodotti commerciali) offerti dalle imprese capitaliste sono più che sufficienti a soddisfare i desideri più futili e strampalati».

Lo scrive un osservatore esperto come Giorgio Ruffolo su la Repubblica (8 gennaio 2006). E ne deduce la seguente indicazione di orientamento per la cooperazione: «C`è invece una crescente scarsità relativa di beni sociali…. Sarebbe proprio questo il terreno sul quale la natura genetica solidaristica e democratica del movimento cooperativo potrebbe trovare una rinnovata fioritura». Cose simili dice, il presidente fiorentino della Legacoop Giovanni Doddoli: «Bisogna coinvolgere la gente nella gestione dei servizi, associarli nell` impresa» (la Repubblica-Firenze 1 giugno 2005). E` un buon segno che dirigenti di alto livello puntino a riscoprire e attualizzare i valori della cooperazione con affermazioni simili. La cultura cooperativa toscana può dare un contributo forte a livello nazionale in questo senso. Purché non restino solo parole. «Coinvolgere la gente» è ancora un marcare il protagonismo della dirigenza. Pillole di solidarietà a buon mercato per coscienze che aspirano a sedare i sensi di colpa in modo da non perdere l`appetito. Perché non puntare di nuovo all`autorganizzazione di base, all`autoimprenditoria, alla solidarietà dal basso, mettendo a disposizione gli strumenti strutturali della cooperazione per realizzare reti efficienti e ampie di coordinamento? Le grandi imprese cooperative centralizzate hanno futuro solo se si piegano al dominio assoluto della finanza. Il danaro per il danaro. Questo è il messaggio distruttivo che ci viene dallo scandalo Unipol. Ma dietro scorgiamo la crisi della società postindustriale. Lo spettro di un baratro senza fondo verso cui stiamo scivolando sta riaprendo la discussione sui fondamenti, sulla «razionalità» del mercato, sugli stili di vita individuali e collettivi.

La cooperazione a servizio non della finanza ma di un sussulto del protagonismo di base. Purché tutti ci diamo una regolata e usciamo insieme da questo coma profondo. Non si tratta di una predica domenicale. Ma del nuovo paradigma storico che si sta delineando. Trovo pertinente con le prospettive a cui è chiamato il movimento cooperativo quanto sostiene lo storico inglese Arnold Toynbee: la globalizzazione gestita col sistema politico tradizionale prepara il big bang, l`esplosione catastrofica; è indispensabile una nuova organizzazione della società a rete dove conviva la dimensione globale di macrostrutture di coordinamento con la dimensione costituita da cellule delle dimensioni delle comunità di villaggio neolitiche, una dimensione entro la quale i membri possano conoscersi personalmente, interagire, cooperare.

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