by redazione | 31 Dicembre 2005 0:00
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(dal “corriere della Sera”, 31 dicembre 2005)
Il diritto a un`informazione libera è un sogno per gran parte del mondo
Libertà di stampa: i peggiori Stati del 2005
Le organizzazioni per il diritto a essere informati tracciano un bilancio e denunciano «i soliti noti», Corea del Nord su tutti
MILANO – Fine anno, tradizionale tempo di bilanci. Cosa ci lascia il 2005 sul fronte del progresso delle libertà civili e politiche? In sintesi, si può dire che non si è distinto particolarmente dai suoi predecessori: come essi, ha prodotto alti e bassi. Da ogni parte del mondo arrivano segnali confortanti: la rinuncia della lotta armata da parte dell’Ira, la fine della trentennale guerriglia separatista ad Aceh (Indonesia), l’abolizione della pena di morte in alcuni Paesi (come il Senegal), l’estensione dei diritti politici alle donne in alcune realtà islamiche come il Kuwait, l’annuncio della costruzione della prima chiesa del Golfo Persico in Qatar, il voto democratico in Iraq e Liberia, l’invio di aiuti umanitari indiani al rivale Pakistan in seguito al devastante terremoto che ha colpito il Kashmir, la marcia per la democrazia a Hong Kong. Eppure (come sempre, purtroppo), questi progressi sono controbilanciati da venti di guerra (Ciad-Sudan e forse nuovamente Etiopia-Eritrea, tra gli altri), dal pantano della missione in Iraq, da elezioni-farsa (ultime in ordine di tempo quelle in Egitto e Kazakhistan), dai giri di vite sulla dissidenza e sullo sviluppo del libero accesso a Internet.
LA LIBERTA’ DI STAMPA – Ogni anno, numerose organizzazioni internazionali monitorano progressi e regressi nel campo dei diritti umani nelle varie realtà del mondo. Come si chiude il 2005 dal punto di vista della libertà di stampa? Osservando le classifiche di due organizzazioni come la Freedom House (FH) e Reporter senza frontiere (Rsf) c’è poco da gioire: oltre il 60% dei Paesi nel mondo non dispone di mezzi di comunicazione che possano definirsi liberi; si assiste persino a un peggioramento della situazione rispetto al 2004 in alcune democrazie occidentali, come Stati Uniti, Francia e la stessa Italia, fortunatamente controbilanciato dall’ascesa di numerosi Paesi del Terzo Mondo, prevalentemente in Africa e America Latina. Reporter senza frontiere non manca di sottolineare che l’anno si chiude con 124 giornalisti e 3 collaboratori dell’organizzazione in carcere per «reati a mezzo stampa»; a essi si aggiungono i 63 giornalisti e 5 collaboratori morti sul campo nel 2005 e i 70 «cyberdissidenti» imprigionati in varie parti del mondo, soprattutto in Cina.
IL CONTROPODIO – Chi si aggiudica la maglia nera della negazione della libertà di stampa? In linea di massima, le stesse «facce» del 2004, tenendo inoltre presente che chi rimane escluso di poco dal podio non è di certo ben più libero di chi lo conquista. Sia FH che Rsf non dubitano nell’assegnare alla Corea del Nord il poco invidiabile posto di leader mondiale della censura della stampa. Seguono l’Eritrea per Rsf e il Turkmenistan per FH. Il Paese centro-asiatico è «medaglia di bronzo» per Rsf, titolo che spetta a Cuba per FH. In tutte queste realtà non esiste stampa privata e opporsi al regime al potere attraverso mezzi di comunicazione è reso impossibile; chi ce la fa (ovviamente attraverso organi mediatici esteri) rischia il carcere, la tortura o la pena di morte.
I «BUCHI NERI» – Rsf definisce gli stati senza libertà di stampa, «buchi neri dell’informazione». In primis, la Corea del Nord, lo stato più chiuso e paranoico del mondo. La stampa locale è impegnata a lodare un regime che destina gran parte del Prodotto interno lordo (mentre milioni di nordcoreani muoiono di fame) alle spese militari e a quelle propagandistiche (particolarmente quest’anno, in cui per mesi è stato celebrato in pompa magna il 60mo anniversario dell’indipendenza dal Giappone). Presumibilmente, la stragrande maggioranza dei nordcoreani ignora persino il concetto stesso di libertà di stampa; in compenso, i media di regime li hanno convinti che prima o poi verranno attaccati dai cugini del sud. Documentare tale realtà è difficile anche per i giornalisti stranieri, cui è difficilissimo entrare nel Paese; chi nonostante tutto ottiene un visto, deve seguire percorsi di visita obbligati, scortato da una guida locale, con la consapevolezza di essere costantemente sorvegliato e che il materiale raccolto può essere requisito in ogni momento. Nel Turkmenistan c’è il regime politico forse più singolare del mondo: Separmurat Niyazov è «presidente a vita», «padre e guida spirituale» e persino massima autorità letteraria dei turkmeni. Celebrato da gigantesche statue dorate disseminate in tutto il Paese, Niyazov gestisce personalmente tutto: vita politica, culturale ed economica turkmena. La stampa locale lo riempie quotidianamente di elogi sperticati. L’Eritrea invece è dominata dal 1991 (l’anno dell’indipendenza dall’Etiopia) dal presidente Isaias Afewerki e dal Partito Unico (il Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia). Afewerki ha chiuso gli ultimi media privati nel 2001 e incarcerato senza processo numerosi oppositori. Nel Paese vige anche uno stretto controllo delle comunità religiose. Cuba è, dopo la Cina, il Paese le cui carceri ospitano più giornalisti. A marzo, in occasione di un vertice sulla democrazia promosso dalla dissidente Martha Roque Cabello, anche alcuni giornalisti italiani hanno sperimentato la «tolleranza» del regime castrista verso i reporter sgraditi.
INTERNET SOTTO CONTROLLO – Chi pensa che Internet possa violare le barriere censorie e diffondere contenuti liberi anche nei Paesi più chiusi perché medium difficile da sorvegliare si sbaglia. Secondo Rsf esistono due modi per ostacolare la diffusione della Rete nel mondo : la via «cubana», che frena la diffusione di computer e modem presso case private e vieta Internet nei luoghi pubblici (l’adottano, tra gli altri, la Corea del Nord, il Turkmenistan, la Birmania e ovviamente Cuba), e la via «cinese», che investe nella diffusione del Web, ma parallelamente anche in tecnologie capaci di filtrare i contenuti scaricabili e censurare quelli considerati sovversivi, nonché di leggere le e-mail ricevute e inviate dagli utenti (la Cina è leader del settore, seguita dall’Arabia Saudita e da Singapore).
Simone Bertelegni
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