Lavoro nero e legge 30. Un intervento della CGIL e le cifre
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(“il manifesto”, 22 dicembre 2005)
NERO
La legge 30 ha sommerso i lavoratori
Preoccupante rapporto Istat: centinaia di migliaia gli attivi «scomparsi»
ALESSANDRO GENOVESI*
Il 16 dicembre l`Istat ha reso note le stime sul lavoro nero nel più totale silenzio della stampa, specializzata e non. Eppure numerosi ed interessanti sono i dati e significative le riflessioni che potrebbero accompagnarli. Prima di tutto il lavoro irregolare cresce per quantità e soprattutto per «centralità»: si riducono cioè tra il 2001 e il 2004 il numero delle posizioni lavorative di breve durata (i cosiddetti «lavoretti») e i «doppi lavori», cioè quel lavoro nero fatto accanto a lavori regolari (tipico più di una fase di abbondanza e di crescita). Se consideriamo poi che più del 75% del nero si trova nel terziario, dove la durata media settimanale è minore delle 40 ore pro capite (l`Istat per avere una stima di massima di quanti lavoratori sono impiegati irregolarmente, trasforma le posizioni lavorative in Ula, cioè in lavoratori ideali che lavorerebbero 40 ore a settimana) tra il 2003 e il 2004 non vi sarebbe stata una crescita «solo» di 32 mila «lavoratori ideali» coinvolti nell`economia sommersa, bensì di più di 150 mila persone fisiche. Cioè delle persone che materialmente sono prive di contratti regolari di lavoro.
Aggiungiamo poi che tra gli stranieri non residenti vi è stato dal 2001 al 2003, per effetto della sanatoria, un calo di più di 500 mila lavoratori irregolari (da 665 mila a 149.700, e il dato è sotto stimato se pensiamo che per la Caritas sono almeno 800 mila gli immigrati clandestini) e il quadro è completo: la tendenza dell`economia italiana ad immergersi riguarderebbe centinaia di migliaia di persone solo negli ultimi due anni. Come se nei passati 24 mesi un intero settore come la ceramica o il tessile si fosse completamente sommerso.
Una tendenza già visibile nell`analisi delle stesse forze lavoro (si vedano i dati dell`Istat e i più recenti dati del Cnel): l`aumento del cosiddetto «effetto scoraggiamento» (per cui centinaia di migliaia di persone, soprattutto donne e meridionali, non cercano più lavoro da 24 mesi a questa parte) e il calo del tasso di disoccupazione – maggiore del tasso di crescita – sono altrettante conferme dell`aumento del lavoro nero e più in generale del declino economico del nostro paese.
In questi dati – assai complessi e che ho cercato di ridurre all`osso – vi è forse la cifra più significativa della scarsa qualità del sistema produttivo italiano, fatto di un terziario sempre più povero che, quando riassorbe l`occupazione in eccedenza di altri settori (a partire dall`industria), lo fa attraverso lavori irregolari. Sia chiaro: in questo processo vi è anche il peso di una congiuntura economica negativa che ha spinto sempre di più su un lavoro nero scelto come strategia di sopravvivenza, attraverso una riduzione sistematica del costo del lavoro. E` evidente comunque il fallimento del Governo che ha scelto proprio la strategia delle riduzione dei diritti e quindi dei costi per favorire fenomeni di emersione (si vedano per tutte le norme della legge 383/01 e soprattutto la legge 30), quando invece altre erano e sono le vie per favorire l`emersione. Perché più conveniente del lavoro nero (fino a quando ci si fa) non vi è nulla.
Ma allora la domanda è proprio questa: quanto è ancora possibile reggere, come sistema paese, su questa via? Combattere il lavoro nero e qualificare le imprese e i lavoratori sono allora facce di una stessa medaglia. Individuare strategie dal basso che selezionino i tessuti produttivi e spingano verso l`alto diritti e qualità del produrre non è solo una scelta di giustizia sociale, ma anche dell`unica via per aumentare benessere e opportunità.
* Dipartimento Politiche attive del lavoro Cgil nazionale
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