Il nuovo Rapporto CENSIS: considerazioni generali e il quadro sociale
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CENSIS
Il Rapporto Annuale 2005
Le considerazioni generali
Forse perché stanchi di un decennio intristito, passato a parlare di crisi e declino, avvertiamo su diverse lunghezze d’onda che nel nostro sentire collettivo c’è meno atonia rassegnata che nel recente passato. Il clima sembra cambiato, nel sistema socioeconomico circola una vibrazione reattiva, quasi un insolito vigore. Anche se forse non bastano per parlare di una inversione di ciclo, non mancano sintomi di conferma a tale segnalazione.
Se circola insolito vigore, esso viene dal ritorno in auge del grappolo delle originarie scelte della nostra storia recente:
a) Abbiamo ripreso a “stare dentro le cose”: nella sfida della globalizzazione, dato che in silenziosa emulazione di massa, centinaia di migliaia di italiani hanno deciso di concretamente “mondialeggiare” con presenze minute e diffuse; nell’allocazione delle risorse finanziarie; dove abbiamo di fatto ripreso ad arbitrare il “gioco dei quattro cantoni” (consumi, investimenti, patrimonializzazione finanziaria, patrimonializzazione immobiliare); nella partecipazione sociopolitica, per quasi quindici anni sacrificata alla verticalizzazione e personalizzazione politica, ed oggi ripresa con forza.
b) Un diverso significato, di sviluppo incrementale e non di sfide future, abbiamo poi dato al valore della “continuità”. Continua la moltiplicazione del numero di imprese a piccola dimensione, contro ogni previsione e ogni segnalazione di pericolo; continua il riferimento al brand italiano dal made in Italy alla complessiva qualità di un italian style; continua la ricerca di qualità della vita e la propensione alla vita comunitaria che non ha solo esiti di rinserramento borghigiana; continua l’affermazione del valore del mercato come regolatore; e continua la corsa del policentrismo dei poteri.
c) Ma non potremmo fare insieme presenza attiva nelle sfide nuove e sviluppo incrementale della pazienza antica se non potessimo contare su una collettiva tonalità emotiva che sta, come è evidente, in ognuna delle opzioni fondative fin qui ricordate; ma sarebbe errato pensare che ciò esaurisca tutto il nostro panorama emozionale, solo che si pensi al senso di sicurezza che si cerca di fronte alle molte paure esistenti e che lo smemoramento di senso coltivato dalla comunicazione di massa non riesce a rimuovere.
Si può già presagire oggi in Italia, tuttavia, il lento cedimento dei due fattori fondamentali del nostro modello di sviluppo: la carica di soggettività individuale e la potente energia sociale. Dell’una e dell’altra noi Censis siamo stati propagatori e cantori, per cui è corretto segnalarne per primi una loro duplice tendenza: la capacità mobilitante della soggettività si va esaurendo; l’energia del sociale diventa energia debole.
Che la capacità mobilitante della soggettività individuale abbia imboccato la sua fase di maturità è sensazione ormai serpeggiante nella cultura italiana: cercando disperatamente di distinguerci dagli altri, finiamo per fare tutti le stesse cose, per aver tutti gli stessi pensieri, per usare addirittura tutti lo stesso linguaggio; cercando disperatamente di arricchirci di esperienze ed emozioni finiamo per ingoiare ogni cosa e diventare obesi in tutto (beni, sesso, terapie e autoterapie, denari, ecc.), e gli obesi, non riuscendo a partorirsi, restano pesanti e senza orientamento a futuri significati. E tutto ciò in un sistema in cui il “sociale” esprime un’energia più debole che nel passato. Perché produce una continua dispersione degli interessi e dei comportamenti; mostra una bassa capacità di mobilitazione delle tematiche politicamente più in voga (lo sviluppo interculturale, il riequilibrio di genere, la rivendicazione dei diritti, ecc.); infine, e soprattutto, la sovrarappresentazione anche mediatica delle paure e dei rischi, che induce a ritenere impossibili le soluzioni individuali, familiari, associative e sociali. Uno stato di cose che spinge a un conseguente riferimento allo Stato, visto sempre meno come soggetto generale di sviluppo e sempre più come struttura di copertura dei rischi dei cittadini.
E’ possibile dare un’ordinata sequenza alle diverse istanze che oggi occupano il campo? Lo spessore di queste istanze così diverse induce naturalmente alla prudenza nel cercare un filo rosso di domanda della società verso la politica; ma è innegabile che esse impongono una presa di coscienza della classe dirigente del Paese, perché tutte insieme costituiscono un’opportunità, un patrimonio, una sfida etica.
Politica e popolo rischiano di diventare incomunicanti e “irrappresentabili”. Questa condizione riduce di molto la possibilità di far politica calibrandosi sulla domanda sociale: la prima mossa per superare lo stallo, quindi, tocca a chi cerca il consenso, a chi aspira al potere. La sovranità non si crea quando il popolo sceglie il suo sovrano, ma quando il sovrano sceglie il suo popolo (biblicamente è il Signore che sceglie il suo popolo “eletto”). A tal fine chi fa politica e cerca consenso di popolo deve rivolgersi ad esso offrendo una missione o almeno una identificazione collettiva.
Fare offerta politica diventa quindi un bisogno primario, ben al di là della richiesta di pura delega a governare.
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La società italiana al 2005
Quest’anno vanno evidenziati innanzitutto segnali di ripartenza economica:
– nell’affiorare di schegge di vitalità economica; l’insieme dei settori per i quali si è registrata una crescita del valore aggiunto, della produzione e dell’occupazione realizzano il 49% dell’intero valore aggiunto di tutti i settori produttivi (esclusa la Pubblica Amministrazione, la Difesa e la Sanità) e assorbono il 52,3% dell’occupazione totale; invece i settori che registrano un calo o del valore aggiunto, o della produzione o dell’occupazione realizzano il 25% del valore aggiunto nazionale e impiegano il 13,2% del totale degli occupati. Solo una parte minoritaria dei settori produttivi, dunque, è in una fase di crisi di competitività e di bassa crescita;
– nella spinta del terziario; i servizi crescono dimensionalmente, e a fronte di un incremento medio dello 0,7% le imprese con oltre 50 addetti sono aumentate del 10,3%, con dinamiche di sviluppo significative nell’ambito delle attività immobiliari (+63%), della ricerca e sviluppo (+38,2%), del commercio (+22,2%); a fronte di una contrazione degli investimenti delle imprese italiane (-3,2%), nel terziario si è registrata una crescita del 4,5%, che sale al 18,1% nelle aziende da 10 a 49 addetti e al 35,9% nel terziario all’impresa;
– nei consumi che volano verso l’immateriale; crescono a un tasso medio dall’1,3%, ma i servizi di comunicazione aumentano fino al 19,1% e i servizi legati ai consumi culturali e ricreativi presentano un incremento di molto superiore alla media della spesa interna e pari al 7,6%; rispetto a un aumento della spesa delle famiglie, a prezzi costanti del 1995, di 360 miliardi di euro dal ‘70 ad oggi, la metà di questo volume è oggi direttamente imputabile a consumi collegati con l’offerta di servizi (trasporto e comunicazione);
– nella fioritura di eccellenze nella ricerca; tra le 500 imprese europee che più investono in ricerca e sviluppo 149 sono del Regno Unito, 100 della Germania, 66 della Francia e 44 della Svezia. L’Italia, all’ottavo posto, è rappresentata da 17 aziende. Se il nostro paese è dodicesimo in Europa in quanto a spesa pro capite per la ricerca sale al settimo posto al mondo per numero di pubblicazioni scientifiche e per numero di citazioni da parte dei colleghi scienziati di tutto il mondo, dimostrando un’ottima capacità di produzione individuale;
– nella scommessa della professionalità; i laureati nell’ultimo anno sono stati 268.821, +30,9% rispetto all’anno precedente. Il numero di corsi universitari fra gli ultimi due anni accademici è cresciuto del 13,2%. I master, sia quelli universitari sia quelli privati, sono ormai una realtà formativa molto estesa: quelli universitari sono cresciuti del 10,4%, quelli privati del 21,7%. Solo con le iscrizioni dei partecipanti, i master universitari raccolgono un finanziamento stimato di 101 milioni di euro, quelli privati 87 milioni di euro, con un costo medio per lo studente rispettivamente di 2.651 e di 7.500 euro.
Linee di discontinuità sociale rivelano:
– l’emergere del corto orizzonte dei nuovi ricchi; mentre la maggioranza degli italiani ha continuato a stringere la cinghia, loro hanno continuato a spendere. Nei primi 8 mesi del 2005, le immatricolazioni di auto di lusso sono cresciute del 12,6%, arricchendo il parco macchine dei Paperoni d’Italia di circa 6.000 nuove vetture dagli 80 mila euro in su; un affronto ai magri risultati del comparto, che ha segnato un calo delle vendite del 3,1%; secondo le stime del World Wealth Report, gli italiani che hanno una ricchezza individuale superiore al milione di dollari (escluso il valore dell’abitazione di proprietà) sarebbero aumentati del 3,7%, passando da 188 a 195 mila; le famiglie italiane titolari di patrimoni in gestione superiori ai 500 mila euro sono cresciute dell’8%, arrivando a quota 702 mila (circa il 3,3,% delle famiglie italiane) e il patrimonio in gestione è cresciuto del 10%, con un valore medio di 783 miliardi di euro; i redditi individuali da lavoro dipendente sono cresciuti dell’1,6%, mentre quelli da lavoro autonomo sono aumentati del 10,1%. Quanto al livello d’istruzione dei nuovi ricchi, solo il 20,3% è laureato, il 42,7% ha un diploma di scuola media superiore o professionale e il 36,9% arriva al massimo alla scuola media;
– il disagio, dall’altra parte, dei senza-patrimonio; il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi la metà (45,1%) dell’intero ammontare della ricchezza netta; negli ultimi dieci anni la quota di ricchezza posseduta dal 5% delle famiglie agiate è passata dal 27% al 32% e dal 9% al 13%; l’82% delle famiglie italiane dispone di un’abitazione di proprietà, di questi il 13% dispone di almeno una seconda abitazione e il 4,5% di altre tipologie di fabbricati; ma c’è un 13,5% di italiani che è rimasto fuori dal giro dei proprietari di casa e vive in abitazioni in affitto; il 45,3% degli affittuari dichiara di percepire un reddito basso o medio basso, per il 34% l’affitto ha un’incidenza che supera il 30% del reddito complessivo e per il 13,4% è maggiore al 40% (è considerato sostenibile un canone che si aggira attorno al 20% degli introiti mensili).
– l’impotenza delle risposte individuali; la capacità programmatoria individuale è minata dall’incertezza, visto che il 57% degli italiani afferma di non riuscire ad influenzare quello che gli succede intorno, contro un dato europeo del 47%; inoltre, la maggioranza degli italiani (65%) esprime una valutazione negativa del sistema di welfare, quasi 600 mila famiglie a reddito medio e medio-alto in un biennio hanno vissuto un ridimensionamento economico;
– l’indebolimento soggettivo è tuttavia compensato dalla lunga marcia delle reti sociali; in Italia ci sono ormai circa 200 Ong (erano 170 nel 1999), 2.165 sono i progetti avviati in Italia e 544 all’estero dalle Ong appartenenti all’Associazione delle Ong italiane, 3.445 (di cui 1.315 volontari) gli operatori impegnati, sono 21.021 le organizzazioni di volontariato, con un incremento del 14,9% rispetto al 2001. Sono 88 le Fondazioni Bancarie per un totale di proventi, al 31 dicembre 2003, pari a 2.127 milioni di euro, un importo complessivo erogato di 1.143 milioni di euro (con una variazione percentuale rispetto al 2002 del +9,5%) ed un numero di iniziative finanziate pari a 22.804 (+11,6%); e sono circa 7.100 in Italia le cooperative sociali (erano 5.515 nel 2001), 267.000 i soci, 223.000 le persone remunerate (173.348 nel 2001) e 31.000 i volontari.
Fattori politici di imperfetta evoluzione e di immaturo rapporto col potere: nella proliferazione caotica delle sedi decisionali, nella conflittualità insita nei processi decisionali e nell’indebolimento delle funzioni dirigenziali.
Scaricabile la sintesi del capitolo sul Welfare
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