Furbetti e furboni. Da Antonveneta a Bankitalia, passando per la Fiat

by Sergio Cusani | 21 Dicembre 2005 0:00

Loading

Recentemente è arrivata alla mia compagna una carta di credito della società Consel che fa parte del gruppo Banca Sella, che fa capo al presidente della Associazione Bancaria Italiana, che offre un prestito – da attivare con numero verde – per un importo di 1.000 euro con un rimborso di 50 euro al mese. Nella lettera di accompagnamento, per la prima volta, viene applicato un principio di assoluta trasparenza circa le condizioni del credito: tasso di interesse annuale effettivo globale del 18,16%; commissione di invio 1,21 euro; imposta di bollo 1,81 euro e altro. Se voi versate i vostri soldi su un conto corrente bancario gli interessi che vi vengono riconosciuti sono dello 0,010% annuo. Un differenziale tra tassi attivi e passivi del 18,15% che non ha bisogno di commenti.
Per capire quanto ciò sia scandaloso, basta fare un semplice controllo.
Il tasso di usura è il 18,81%: tasso di usura 18,81% meno 18,16% che fa pagare Conse, la differenza è dello 0,65%. Solo lo 0,65% evita alla finanziaria del presidente dell’Associazione Bancaria Italiana di esercitare l’usura.
E’ ovvio che, con l’incremento diffuso della povertà in vasti strati sociali, chi ha un problema urgente da risolvere è costretto ad accettare i mille euro offerti e a pagare questo tasso. Poi passa, come molto spesso accade, dall’usuraio, quello non ufficiale, quello che non ha la carta intestata.
Oggi sono le banche che apertamente svolgono attività di finanziamento ai limiti dell’usura mentre un tempo questa attività “sporca” era principalmente demandata a finanziarie ai margini del sistema anche se erano “carsicamente” collegate con il sistema delle banche.
Ho raccontato ciò per dire che la brochure distribuita oggi dalla FIOM di Milano dal titolo “Da Antonventa a Bankitalia: cronaca di una crisi annunciata” e che come sfondo di copertina un cartello che recita “Banche, i vostri utili a nostre spese” centra in pieno
Il problema di assoluta attualità.
E’ in corso un processo in accelerazione di bancarizzazione del sistema industriale e commerciale: in particolare è sempre più diffusa la pratica di cercare di difendere il livello dei consumi facendo indebitare il consumatore così spingendolo ad acquisti che altrimenti non si potrebbe permettere. E non parliamo di acquisti di beni superflui ma di acquisti di prima necessità come gli alimentari.
Tutto ciò produce nel tempo effetti devastanti, perché con questo sistema di indebitamento quotidiano si rimane intrappolati a vita in un meccanismo dal quale uscire è praticamente impossibile e che trasferisce tutti i problemi, aggravati, alle generazioni successive.
Si tende a “bancarizzare” l’esistenza umana, aumentando il senso di sbandamento, insicurezza e angoscia dell’essere umano.
Questo per portare il discorso sulle banche che stanno prendendo un ruolo sempre più invadente e penetrante nella vita quotidiana di tutti.
In particolare vorrei entrare nel merito del ruolo che il sistema bancario ha avuto nel caso della famiglia Agnelli in relazione alle modalità con cui gli Agnelli hanno “ricomposto” la loro quota del 30% del capitale sociale di Fiat dopo l’ingresso degli istituti di credito nel capitale Fiat a seguito del prestito “convertendo”.
Vorrei accennare a quella lievissima differenza che corre tra l’operazione della famiglia Agnelli e quelle del noto immobiliarista Stefano Ricucci: i primi i furboni del quartiere alto, il secondo il furbetto del quartierino.
Le operazioni dei quartieri alti si differenziano da quelle del quartierino soltanto perché formalmente eleganti e perché godono di consolidate acquiescenze da parte degli istituiti di controllo dei mercati finanziari.
Gli Agnelli hanno usato impropriamente uno strumento (equity swap) che fa parte della galassia della speculazione pura cioè dei derivati – che usualmente si fa cash cioè soldi contro soldi – per mascherare nella realtà un’operazione di acquisto di azioni di una propria controllata quotata in borsa, la Fiat, e sfuggire con eleganza al controllo della Consob ma forse in consonanza con la stessa Consob.
Grazie a grandi professionisti, che magari dichiarano di far parte di ambiti vicini alla sinistra, gli Agnelli hanno trovato l’escamotage di vendere i diritti derivanti dall’aumento di capitale destinato alle banche così da sfuggire, se avessero dichiarato gli acquisti di azioni Fiat sul mercato di Borsa, al meccanismo dell’Opa obbligatoria su tutta la Fiat che la famiglia Agnelli non si sarebbe potuta permettere. Anzi, a tal fine, l’operazione di acquisto di azioni Fiat, formalmente di equity swap, è stata fatta estero su estero da Exor International (gruppo Agnelli) con Merryl Linch International magari per sfuggire a eventuali curiosità di qualche procura nazionale, oltre a poter in tal modo manovrare acconciamente le plusvalenze visto che il titolo Fiat, grazie agli acquisti, è salito in pochissimi mesi da euro 4,7 a circa 7 euro.
Tutto ciò con l’evidente appoggio del sistema bancario che, con diverse sfumature, ha applaudito all’operazione dichiarando che in tal modo la famiglia Agnelli avrebbe confermato il proprio impegno continuativo in Fiat come azionista di riferimento e gestore del gruppo. Operazione in realtà soltanto in piccola parte sostenuta dagli Agnelli ma in gran parte pagata dagli azionisti di minoranza della quotata Ifil (gruppo Agnelli), che controlla il 30% di Fiat.
Per capirci meglio è come se uno andasse a scommettere alle corse dei cavalli e invece di prendersi il premio della vincita in danaro si prendesse il cavallo: infatti queste operazioni di equity swap sono tutte sempre per contanti, mentre invece nell’operazione degli Agnelli non è stata ritirata la “vincita” cash ma si sono fatti consegnare titoli Fiat (il cavallo) pari a circa l’11% circa del capitale.
Insieme alla Practice Audit che monitorizza da 4 anni il gruppo Fiat per conto della Fiom-Cgil, stiamo cercando di capire qualche cosa di più perché ci siamo ricordati che all’inizio dell’anno 2005 l’amministratore delegato del gruppo Banca Intesa dichiarò che la sua banca era già uscita dalle azioni Fiat attraverso operazioni di equity swap e derivati, e quindi non c’era più alcun rischio di ulteriori perdite per la banca a seguito della inevitabile conversione del prestito in azioni Fiat, che allora quotavano circa 5 euro contro un costo preventivato di conversione superiore ai 10 euro.
Abbiamo la strana impressione, ma non ancora la certezza, che il pacchetto importante di azioni Fiat su cui è stata costruita l’operazione, formalmente soltanto “speculativa”, possa proprio essere quello di Banca Intesa: il che dimostrerebbe in modo inconfutabile che tutto un sistema che si è mosso per sostenere il mantenimento del controllo della Fiat da parte della famiglia Agnelli.
Infine quest’operazione sta a rappresentare come sia centrale il ruolo della finanza rispetto alla produzione.
La Fiat ha in parte risolto, alleggerendo per ora la sua crisi, il problema finanziario perché attraverso operazioni finanziarie come la risoluzione dell’accordo con GM e con Italenergia ha complessivamente portato in cassa più di 1 miliardo e 400 milioni di euro.
Ma è sul piano del prodotto che non ci siamo ancora, anche se tutte le speranze sono riposte nel successo della Nuova Punto. Anche l’annuncio estivo di Fiat di un grande accordo strategico internazionale si è ridotto a un accordo, che è stato definito tattico, con la Ford per produrre tra qualche anno la 500 e un accordo che è stato definito strategico con la Suzuki. Non si capisce bene cosa vogliano dire tali definizioni, tattico e strategico: ma questo “grande annuncio” significa non ci siamo sul piano del prodotto e quindi della produzione industriale, e quindi principalmente il mantenimento degli attuali livelli occupazionale e dei siti produttivi, nonché la capacità di far fronte ai necessari investimenti. C’è da temere di conseguenza che anche l’anno prossimo il problema Fiat dovrà essere al centro delle attenzioni del mondo sindacale e politico perché sarà al centro delle questioni sociali di rilevanza nazionale.
Sulla base di tutto quanto detto prima, la mia riflessione rivolta alle organizzazioni sindacali confederali è, visto il processo di impoverimento materiale del cittadino/lavoratore/consumatore, di invitarle ad affrontare le rivendicazioni e le lotte in una logica di ricomposizione della frammentazione dell’individuo cercando di difenderlo in tutti i segmenti delle sue molteplici funzioni nell’arco della giornata.
Specifico il mio pensiero: la Fiom si batte per la difesa del lavoratore, per garantirgli contrattualmente un adeguato aumento salariale. Ma quello stesso lavoratore/individuo nell’arco della sua giornata spende per i mezzi di trasporto, paga le tariffe (luce, gas e altro), paga magari il canone di affitto, va a fare la spesa: insomma viene massacrato dall’aumento dei prezzi e del costo della vita. Per cui tutto ciò che si conquista da una parte viene ripreso dall’altra, in misura molto superiore.
Insomma sostenere, tutelare e rappresentare il lavoratore affrontando nella interezza dei suoi problemi, affrontando la complessità e la fatica della sua vita.
E tutto ciò non può essere demandato solo ad una categoria sindacale, pur forte e incisiva come la Fiom.

di Sergio Cusani

(Questo documento è basato sull’intervento che Sergio Cusani ha tenuto al convegno Fiom-Cgil di Bologna il 22 ottobre 2005)

In allegato un`intervista del Sole 24ore del 20 dicembre 2005 a Sergio Cusani sulle vicende finanziarie legate al caso Fiorani e Fazio.

Allegati scaricabili

Post Views: 238
Endnotes:
  1. Il Sole 24 Ore-20122005-cusani: https://www.dirittiglobali.it/wp-content/plugins/download-attachments/includes/download.php?id=100940

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2005/12/furbetti-e-furboni-da-antonveneta-a-bankitalia-passando-per-la-fiat/