Sul CETA un compromesso che sacrifica la nostra agricoltura
Attenzione a sottovalutare la portata politica e le conseguenze dell’approvazione del trattato commerciale tra Canada e Unione Europea, il cosiddetto Ceta, in votazione nei prossimi giorni al Senato.
Lo dimostra, ad esempio, il modo in cui il Pd sta organizzando il voto dei suoi parlamentari, per evitare sorprese, dopo che diversi presidenti regionali, a partire da Zingaretti, Emiliano e Zaia hanno scelto di esprimere pubblicamente il loro dissenso.
Ma lo si può leggere anche dal modo con cui il Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, sta rispondendo alle critiche e provando a rilanciare un dibattito sul tema della globalizzazione e contro l’isolamento e il protezionismo. Secondo il Ministro quanto raggiunto rappresenterebbe un enorme passo avanti in termini di riduzione dei dazi sulle merci scambiate e, in ogni caso, l’essenza di un negoziato sta nel raggiungimento di un compromesso.
Il non detto è però che il compromesso è stato trovato sacrificando sul tavolo negoziale l’agricoltura italiana.
Come per il Ttip – il trattato commerciale «gemello» con gli Stati Uniti, che aveva avuto prima uno stop da parte di Francia e Germania e poi uno definitivo con l’elezione di Trump – per i negoziatori nord americani due condizioni erano pregiudiziali: l’apertura dei mercati europei ai prodotti agricoli nordamericani e la garanzia sugli investimenti delle imprese attraverso arbitrati extragiudiziali. Ha un bel dire Calenda che bisogna fidarsi della controparte, in particolare quando ha il viso rassicurante di Justin Trudeau, e di chi fa la trattativa. Perché è proprio qui l’errore, nell’idea che si possa scambiare l’azzeramento dei dazi di cui beneficeranno le Pmi italiane, di per se positivo, con l’invasione di grano che ha avuto trattamenti intensivi con glifosate, vietato in Italia, di formaggi e salumi dai nomi fintamente italiani, di carni sottoposte a trattamenti con ormoni per l’accrescimento vietati da noi.
Proprio per queste ragioni si può essere contro questo accordo. I prodotti italiani sono infatti apprezzati dal Canada alla Cina per una qualità che ha dietro la forza di un modello economico e di biodiversità, fatto da migliaia di piccole imprese dell’agroalimentare che tutelano le proprie produzioni tipiche e si stanno sempre più riconvertendo al biologico. Non capire questo e rivendicare che 41 Dop italiane (su 289) saranno garantite, è davvero miope.
Anche perché questo trattato crea un precedente in termini di dumping ambientale e indirettamente sociale, oltre che di giurisdizioni speciali per le imprese che potrà essere copiato in tutti i futuri accordi con altri Paesi.
Invece di militarizzare i propri parlamentari, per evitare sorprese nel voto, il Pd dovrebbe riconoscere il grave errore politico che ha commesso nel lasciare la trattativa in mano a Calenda. Il quale, va riconosciuto, ha svolto anche in questo caso benissimo il ruolo di avvocato di Confindustria.
Ma per dirla con le parole di Michael J. Sandel, non tutto è in vendita, ha un prezzo o può essere oggetto di trattativa. Se i nostri amici Canadesi non sono disponibili a rivedere i trattati commerciali per aumentare gli scambi con l’Europa, se non a fronte di concessioni inderogabili, chi fa politica deve saper dire dei no. Ed è anche dallo stop a trattati di questo tipo che può nascere un confronto che guardi al mondo di domani, alle regole per il movimento delle merci ma anche ai diritti delle persone, evitando di dare spago a chi soffia su venti razzisti e isolazionisti.
* vicepresidente Legambiente
FONTE: Edoardo Zanchini IL MANIFESTO
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