Zingonia Zingone: “La forza liberatoria della poesia in carcere”
Le altre interviste della poetessa Anna Lombardo si possono leggere qui e qui e qui (in spagnolo)
Partiamo da una piccola auto-presentazione.
Sono poeta, scrittrice e traduttrice. La mia lingua poetica prevalente è lo spagnolo, ma scrivo anche in italiano, francese ed inglese. Sono cresciuta tra Italia e Costa Rica e mi sono laureata in Economia e Commercio presso l’Università La Sapienza a Roma. Ho pubblicato quattro raccolte poetiche: Máscara del delirio (Ediciones Perro Azul, 2005), Cosmo-Agonía (Ediciones Perro Azul, 2007), Equilibrista del olvido (Raffaelli Editore, 2011; Editorial Germinal, 2012), e Los naufragios del desierto (Vaso Roto Ediciones, 2013). I miei libri sono tradotti in italiano, francese, inglese, kannada e marathi, e pubblicati in Italia, Spagna, Messico, Costa Rica, Francia e India. Ho un poema scritto in francese, Petit cahier dugrand mirage,che è stato pubblicato in un libro d’artista illustrato da Robert Lobet (Éditions de la Margeride, 2016). Le mie poesie appaiono in numerose riviste letterarie e sono tradotte in svariate lingue. Sono curatrice e traduttrice di varie raccolte poetiche, tra cui il libro Voci della nicaraguense Claribel Alegría (Samuele Editore, 2015), che si è aggiudicato il Premio Internazionale Camaiore 2016. Curo la rubrica di poesia internazionale “Il grido e il sussurro” per la rivista digitale MINERVA.
Quando inizia il tuo incontro con la poesia? E quando inizi a scrivere?
A dodici anni ho iniziato a scrivere dei piccoli brani di prosa poetica che definivo in inglese “bursts of emotion”. Non sapevo che contenessero il seme della poesia. Frequentavo la scuola internazionale in lingua inglese. Mio padre era mancato da due anni e attraverso questa forma di scrittura spontanea, sentivo che stavo dialogando con lui.Mi sfogavo e mi ponevo delle domande esistenziali.Le risposte mi si materializzavano tra le dita con la forza enigmatica della metafora e dell’immagine simbolica. Avveniva tutto a livello intuitivo e in inglese.
In quello stesso periodo, il professore di letteratura aveva introdotto una nuova modalità: iniziare ogni lezione facendoci scrivere ininterrottamente per 10 minuti tutto quello che ci passava per la testa. Questo esercizio ripetuto ogni giorno ha aperto il rubinetto dell’inconscio e quei frammenti sono diventati racconti di genere “stream of consciousness” (flusso di coscienza)e poi, negli anni successivo, hanno assunto una struttura sempre più poetica. Ma io ho capito che si trattasse di poesia solamente a 16 anni quando il poeta americano Gregory Corso ha visitato la mia scuola e scriveva sulla lavagna come un forsennato una serie di parole sconnesse… i miei compagni dicevano “è matto!” ma per me tutto aveva senso. Un senso profondo. In quel periodo leggevo con passione Baudelaire, Verlaine, Neruda,la Dickinson e la Woolf. La letteratura italiana mi sembrava fredda e non mi comunicava molto. Apprezzavo l’acutezza di Calvino e la simpatica ironia di Pirandello, ma non riuscivo a entrare in rapporto né con Leopardi né con Ungaretti. Era troppo presto. Tuttavia, pubblicavo dei piccoli racconti in italiano nella rivista della scuola.
Che cosa ispira la tua scrittura? Una immagine, un sentimento, una sensazione, un fatto… in altre parole come nasce e come si sviluppa il processo di creazione per te.
Qualsiasi cosa mi può ispirare poesia, dal sentimento più forte al dettaglio più insignificante. Direi che la considerazione più significativa per quanto riguarda l’ispirazione è chela poesia arriva quando vuole lei e si manifesta come “un’urgenza di essere scritta”. A volte nel dormiveglia appare un verso e mi rimbomba dentro e insiste e mi butta giù dal letto; altre volte, qualcosa mi colpisce durante il giorno e mi rimane in testa e mi tormenta fino a quando non prendo carta e penna e mi decido a tramutare l’intuizione in poesia. Lì inizia il processo creativo. Alcune volte sembra un dettato preciso che arriva già con il suo ritmo e la sua forma e non ammette modifiche. Altre volte invece, lo sviluppo della poesia richiede una ricerca, è come se l’intuizione mi suggerisse dei riferimenti precisi che una vota scoperti, o riscoperti e studiati, costituiscono il pilastro del componimento. Spesso sono riferimenti mitologici o biblici che aleggiano nell’inconscio.Oppure reminiscenze di letture o ricordi di posti visitati o immaginati.
Mi capita spessissimo di rileggere una poesia e di capire solo in quel momento la portata di quello che ho scritto. È anche interessante sentire l’opinione di colleghi, critici e lettori che riescono a trovare nelle mie poesie delle cose che non sapevo di aver scritto… E così mi accorgo come l’occhio che si posa su un dettaglio (apparentemente insignificante), attraverso la poesia riesca a vedere l’aspetto trascendente che si cela in quel dettaglio. Proprio come disse Blake: “To see a World in a Grain of Sand” (“Vedere il mondo in un granello di sabbia”).
Le poesie meno riuscite sono quelle che “mi obbligo” a scrivere. Cioè quando decido che voglio affrontare un determinato tema. Lì scopro che funziona meglio il saggio… la poesia rifiuta le imposizioni. È lei che chiama. Ma bisogna essere aperti all’ascolto. Sono sempre più dell’idea che poeta è chi ascolta e osserva, e non chi vuole a tutti i costi “dire la sua”.
La poesia, come la scrittura, è in qualche modo un atto individuale, un’espressione intima che il poeta poi decide di condividere o meno con i lettori. Oltre al tuo impegno nell’organizzazione di eventi collettivi, che riuniscono poeti che condividono tra loro e con i lettori quello che scrivono, ultimamente ti stai occupando di scrittura poetica nelle carceri. Quanto importante è per te quindi la partecipazione del poeta alla vita quotidiana? O detto altrimenti: che ruolo può avere la poesia nella denuncia, nell’impegno anche politico e sociale del quotidiano?
Direi che le parole “denuncia” e “impegno sociale” non costituiscono né il punto di partenza né l’obiettivo del “mio” laboratorio di poesia in carcere. Possono essere forse delle conseguenze, ma il punto cardine di questo laboratorio è la trasformazione individuale. Il pensiero sottostante è che il cambiamento della società non si può raggiungere se non attraverso il cambiamento individuale. Con pazienza e costanza.
Portando la poesia in carcere ho avuto conferma della sua forza liberatoria. Era una cosa che già pensavo e che avevo sperimentato in altro modo nei terreni fertili dell’infanzia (scuole e oratori), ma in carcere ho visto proprio l’aprirsi di nuovi orizzonti. Il laboratorio è improntato sulla poesia come strumento di introspezione. I risultati ottenuti mostrano come il processo creativo sia in grado di far rientrare l’uomo in se stesso, rivelare i suoi errori e illuminarlo con spiragli di libertà. Uno dei “piccoli miracoli” della poesia, come dicevo prima, è proprio quello di far stupire l’autore di avere scritto ciò che ha scritto. Questo stupore ha portato i detenuti a scoprirsi capaci di creare bellezza e a iniziare un processo di liberazione da schemi mentali e catene interiori.
La poesia si è rivelata uno strumento per approfondire la conoscenza dell’universo interiore, dell’immensa capacità che abbiamo dentro di noi di fare sia il bene che il male, di produrre sia bruttezza che bellezza. Imparare a condannare le proprie azioni sbagliate ma aprirsi alla possibilità salvifica che offre la poesia, di scoprirci anche capaci di pensieri buoni e parole luminose.
In questo senso, è nata in forma spontanea anche l’esigenza di “fare del bene”, di contribuire al benessere di chi sta fuori le mura, per costruire insieme un mondo migliore. L’iniziativa ha preso il nome di Free From Chains (liberi dalle catene), il cui cuore è formato dai testi generati dai detenuti che partecipano al laboratorio. Una delle iniziative intraprese è la pubblicazione delle poesie dei detenuti su magliette che vengono vendute fuori dal carcere, con l’obiettivo di sostenere una serie di progetti benefici.
Lo spirito di FreeFromChains è proprio quello di svincolarsi da un “concetto” di impegno sociale e denuncia, concentrandosi a “fare con il cuore” ciò che si può fare, mettendo a disposizione degli altri ciò che di buono riusciamo a “produrre”.
Personalmente, l’esperienza carceraria mi ha portato a conoscermi meglio. “L’altro” è necessario per l’auto-conoscenza. È lo specchio del bene e del male che vivono in noi. Dallo scambio, la riflessione, la maturazione, l’apertura. L’arricchimento.
Parliamo della tua esperienza nelle carceri. Come e perché l’hai intrapresa? Può solo offrire momenti di creatività o può costituire un prezioso processo di crescita individuale e collettiva che permette un cammino più consapevole e costruttivo nelle relazioni future con la società? Ha cambiato qualcosa questa esperienza nella tua stessa esperienza scritturale?
Come ho detto prima, è nato un “ponte” tra “dentro e fuori” che permette un appoggio mutuo per la costruzione di un mondo migliore. Intendiamoci, è solo una piccola iniziativa nata in modo spontaneo. Ma come si espande il movimento della goccia che cade sulla superficie dell’acqua, forse una cosa piccola può raggiungere lidi lontani.
È presto per sapere se l’esperienza carceraria abbia modificato in qualche modo la mia espressione poetica o meno. La poesia matura con il tempo ed è specchio delle nostre profondità. Forse oggi il pozzo è un pochino più profondo… rispettiamo i tempi della poesia… inaspettatamente, lei si esprime. Stiamo a vedere.
Tu scrivi sia in spagnolo sia in italiano. La lingua che scegli ha qualche influenza sulla tua poetica: cioè in quale di queste due esprimi meglio ciò che vuoi comunicare?
Essendo cresciuta con tre lingue in simultanea e avendo conosciuto presto anche la quarta, scherzando dico spesso che soffro di una sorta di schizofrenia linguistica. In ogni lingua so di avere una personalità leggermente diversa. Penso che questo si debba al fatto che ogni lingua raccoglie in sé una cultura, un ritmo, una storia, una mentalità… comunque diciamo che la scelta della lingua nell’espressione poetica non è una scelta razionale. Ancora una volta, è lei che sceglie come si vuole esprimere. C’entrano sicuramente i suoni e i ritmi assorbiti nell’infanzia, le letture, l’amore. Comunque sia, io accolgo e sviluppo. Da oltre un decennio mi sceglie più spesso in spagnolo, ma mi ha visitato anche in francese.
La traduzione è un altro campo in cui ti impegni molto. Puoi parlarci di questa esperienza e cosa significa per te come poeta? Influisce sulla tua poesia? Pensi che la traduzione sia un impegno che i poeti devono assumersi per dar voce soprattutto a quelli e quelle che non hanno voce in altri paesi (e a volte anche nei propri paesi)? Secondo te, solo un/una poeta può tradurre poesia? Come scegli ciò che traduci?
La traduzione permette il propagarsi di un’opera letteraria oltre le frontiere della lingua che l’ha originata. È uno strumento necessario che attraverso i secoli ci ha offerto la possibilità di viaggiare per mondi lontani e sconosciuti, scoprendo tra realtà e mondi fantastici, la vastità dell’essere umano e il suo ambiente naturale. Tuttavia, possiamo dire che la traduzione è un’approssimazione del testo originale e non una copia fedele. Questo si deve a ciò che dicevo prima, e cioè che ogni lingua ha le proprie sfumature culturali, un ritmo e una musicalità. Cioè, una parola non è solo una parola. In questo senso, la poesia è difficile da tradurre e richiede un lavoro di trasposizione delle immagini, dei suoni, dei ritmi e dei significati occulti. Molti dicono che non si può tradurre, ma senza una buona approssimazione, rimarremmo rinchiusi dentro al recinto letterario generato unicamente nella nostra lingua.
Come scelgo ciò che traduco? Diciamo che la sintonia con il testo poetico è il punto di partenza, anche se mi capita anche di tradurre testi che sento meno vicini alle mie corde.
*****
Accanto al pozzo
due gabbiani ballano
in un angolo del cielo
tra le rocce
e il mare
il movimento ripetuto e sensuale
un tango sospeso
l’esistenza
*
calpesto l’erba del silenzio
cerco
una parola che riassuma
atomo e stella
sentirla in un fiore
che si apre piano
*
il fiocco di neve scende
e copre in silenzio
il verdore del prato
la nudità del granito
cambia
acqua che scende per sorgere
nel vapore del tempo
l’uomo
nel suo gaudio
afferrato al suolo si perde
solo
nell’inverno riprende vita
il fiocco che mai muore
*
come una calamita
il tuo sguardo polarizza
le mie viscere
le pietre
sono vita fossilizzata
per questo
nello stringere al petto
un disco di giada
sento farsi caldo
il respiro pausato
dell’immortalità
*
i fiori di Kyoto
non germogliano dal ciliegio
e non crescono
nella foresta dei bambù
là lontano dai templi
dietro un paravento
nella penombra
danzano le ombre
inclinano con garbo le fronde
e non è dal vento
la carezza che accende
i petali bianchi della sera
i fiori di Kyoto
sprigionano aroma di ciliegia
e increspando
rossissime labbra riempiono
di silenzio le vie
del piacere
Junto al pozo
dos gaviotas bailan
en una esquina del cielo
entre las rocas
y el mar
el movimiento repetido y sensual
un tango suspendido
la existencia
*
piso la hierba del silencio
buscando
una palabra que resuma
átomo y estrella
escucharla en una flor
abriéndose despacio
*
el copo de nieve desciende
y cobija en silencio
el verdor de la grama
la desnudez del granito
cambia
agua que baja para surgir
en el vapor del tiempo
el hombre
en su goce
aferrado al suelo se extravía
solo
en el invierno recobra vida
el copo que nunca muere
*
como una piedra imán
tu mirada polariza mis entrañas
las piedras
son vida fosilizada
por eso
al apretar contra mi pecho
un disco de jade
siento calentarse
la respiración pausada
de la inmortalidad
*
las flores de Kioto
no brotan del cerezo
tampoco crecen
en la floresta de bambú
allá lejos de los templos
detrás de un biombo
a media luz
danzan las sombras
inclinan con garbo las frondas
y no es del viento
la caricia que enciende
los pétalos blancos de la tarde
las flores de Kioto
desprenden aroma de cereza
y frunciendo
rojísimos labios llenan
de silencio las calles
del placer
Non m’importa cosa dicano
Amami, ti dico amami
nel notturno abbraccio del silenzio,
amami e taci
come fa l’amore,
tu che sei quello,
anche quando taci.
Sfiorami, ti dico sfiorami
che dolce brusio sei
nell’aprir di petali e non
sfiorami di ali,
di miele sfiorami;
il palmo sfiorami,
nascere come il seme
che sfiorando posi.
Guardami, ti dico, guardami
spaurito guardami
che piano,
nuda
schiudo
anche l’anima.
Coprimi, ti dico coprimi
lentamente coprimi
e sudami,
di sale e ventre sudami
di smania e pace sudami
di torso, bronzo, penombra
sudami
coprimi, teso
coprimi.
Pensami, ti dico pensami
nel chiarore pensami
linea che sfugge e non,
che ieri ancora,
pensami, domani pensami.
No me importa lo que digan
Ámame, te digo ámame
en el nocturno abrazo del silencio,
ámame y calla
como hace el amor,
tú que eres eso,
aun cuando callas.
Rózame, te digo rózame
que dulce murmullo eres
en el abrir de pétalos y no,
rózame de alas,
de miel rózame;
el palmo rózame,
nacer como la semilla
que rozando posas.
Mírame, te digo mírame
espantado mírame
que suave,
desnuda
descubro
hasta el alma.
Cúbreme, te digo cúbreme
lentamente cúbreme
y súdame,
de sal y vientre súdame
de fiebre y paz súdame
de torso, bronce, penumbra
súdame
cúbreme, extiéndete
cúbreme.
Piénsame, te digo piénsame
en la claridad piénsame
línea que huye y no,
que ayer aún,
piénsame, mañana piénsame.
Dal chiostro del carcere si alza un urlo di sangue. In una cella con vista a oriente, curvo il corvo spiuma il suo passato. Lei arriva come il pane tiepido, un verso trattenuto nel becco della sua mente. Come San Pietro, il carceriere agita dei pezzi di metallo tra le dita. Nove passi separano dalla sua porta le inferriate del fuoco. Lei apre il libro. La chiave gira nella serratura. Nudo l’uomo abbraccia la sua solitudine. Rabbrividisce. Dal suo pugno scappa un verso: così colmo di amore / abbatto le gabbie dell’odio. Il carceriere sputa in terra. Il firmamento annuncia il canto del corvo.
Desde el claustro de la cárcel se levanta un alarido de sangre. En una celda con vista al oriente, encorvado, el cuervo despluma su pasado. Ella llega como pan tibio, un verso atrapado en el pico de su mente. Como san Pedro, el carcelero agita trozos de metal entre los dedos. Nueve pasos separan de su puerta las rejas del fuego. Ella abre el libro. La llave gira en la cerradura. Desnudo el hombre abraza a su soledad. Se estremece. De su puño huye un verso: tan lleno de amor que reviento / las jaulas del odio. El carcelero escupe en el suelo. El firmamento pregona el canto del cuervo.
Radici
Non ho mai sentito l’esigenza
di scavare le mie radici
seme
nella terra/mondo
che originò il mio sangue.
Cosa importa se non è stato Adamo
se sono solo
una cellula di una cellula del mare?
Cosa importa se in un’altra vita
siamo stati fratelli o amanti
sconosciuti
gente nata
dallo stesso battito del tempo?
La terra umida
è segnale di appartenenza
l’aria
il silenzio
lampeggiante inesauribile
che si rinnova ed è respiro
dell’anima.
Mi domandano chi sono.
Alzo le spalle.
La tradizione
è una cornice sul comodino
gabbia che rinchiude
il futuro
nome che definisce
il limite
si esaurisce
come una foglia secca
o segue il suo corso
dal letto del fiume.
Cos’e che l’uomo vuole afferrare
così tanto? Il granello di sabbia
riceve indifeso
l’ira del mare
la sua carezza
il suo lunatico andare e venire
senza frontiere.
Raíces
Nunca sentí la exigencia
de escarbar mis raíces
semilla
en la tierra/mundo
que originó mi sangre.
¿Qué importa si no fue Adán
si sólo soy
célula de una célula del mar?
¿Qué importa si en otra vida
fuimos hermanos o amantes
desconocidos
gente nacida del mismo
latir del tiempo?
El barro húmedo
es señal de pertenencia
el aire
el silencio
parpadeante inagotable
que se renueva y es respiro
del alma.
Me preguntan quién soy.
Me encojo de hombros.
La tradición es un marco
sobre una mesa de noche
jaula que encierra
el futuro
nombre que define
el límite
se agota
como hoja seca
o sigue su curso
desde el cauce del río.
¿Qué busca tanto atrapar
el hombre? El grano de arena
recibe indefenso
la ira del mar
su caricia
su lunático ir y venir
sin fronteras.
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