E A uscirne terremotata potrebbe essere quell’alleanza fra le due famiglie tradizionali della politica europea — popolari e socialisti — su cui si regge la Commissione Juncker. La Grecia fa ballare l’Europa mandando al governo una Coalizione della Sinistra Radicale (questo significa l’acronimo Syriza) che ha riscosso il consenso del ceto medio impoverito grazie all’esempio del suo volontariato di mutuo soccorso e con la promessa di un’economia fondata su principi umanitari: aumentare pensioni e salari minimi, bloccare il pignoramento delle case, diluire il pagamento dei debiti con lo Stato, restituire l’assistenza sanitaria ai disoccupati. Anche a costo di infrangere gli accordi stipulati dai governi precedenti con la Troika. Giungendo fino a stipulare un’alleanza con il piccolo partito di destra anti-euro Anel, l’unico denominatore comune essendo proprio questa scelta di indisciplina rispetto ai memorandum europei applicati dal predecessore Samaras.
In campagna elettorale Alexis Tsipras, divenuto ieri capo del nuovo governo di Atene, ha enumerato le ragioni per cui la Grecia rivendica il diritto a negoziare un’insolvenza che l’establishment europeo e il Fmi considerano devastante, perché incoraggerebbe altri paesi indebitati a seguirne l’esempio. L’arma proibita, e perciò non dichiarata da Tsipras, in caso di fallimento dei negoziati, consisterebbe nella decisione unilaterale di ristrutturare il debito greco. Ovvero di pagarne solo una parte. Molti esperti ritengono che ciò rimetterebbe in discussione l’attuale moneta unica europea.
Se questo è lo scenario che si annuncia a seguito del terremoto politico in Grecia, è evidente che la prima a esservi coinvolta sarà la sinistra riformista, il Partito socialista europeo che vede improvvisamente stravolti, invecchiati, i suoi paradigmi: ammansire i mercati finanziari rispettando la disciplina di bilancio, anche se ciò l’ha costretta malvolentieri a applicare una politica economica di austerità. La sequenza fino a ieri solo temuta, e da oggi divenuta probabile, è che alle elezioni d’autunno in Spagna vinca Podemos sulla stessa linea di ristrutturazione del debito che ha premiato Syriza. A quel punto anche il Portogallo potrebbe seguire. E l’Italia, inchiodata da un debito gigantesco che toglie ossigeno all’economia reale?
Alexis Tsipras e Matteo Renzi sono coetanei, quarant’anni appena compiuti. Volti nuovi accomunati da una pulsione di leadership finalizzata al ricambio di classe dirigente per fronteggiare l’emergenza economica in cui sono precipitate la Grecia e l’Italia. Pablo Iglesias, il candidato premier di Podemos, è ancora più giovane e radicale di loro. Qui finiscono le somiglianze, ma è evidente che i nuovi leader di un’Europa mediterranea indebitata, disoccupata e impoverita, pur nella reciproca diffidenza avranno bisogno l’uno dell’altro per farsi valere a Bruxelles, Berlino e Francoforte. Non a caso i socialdemocratici tedeschi della Spd, al governo con la Merkel, restano i più freddi di fronte alla vittoria di Syriza, che invece accende le speranze euromediterranee. Ma è proprio nei paesi del Sud Europa che — con l’eccezione dell’Italia — si è già sbriciolato il consenso dei partiti socialisti vincolati dalle larghe intese rispettose dei trattati vigenti. Lo stesso Partito democratico, forte del suo 40,8% di voti validi consepolitica alle europee del maggio 2014, non può che guardare con preoccupazione alla sorte del Pasok, il “partito fratello” greco, precipitato dal 43% del 2009 al 5% odierno. I sondaggi dicono che il Psoe spagnolo rischia di fare la stessa fine.
Il nostro Renzi, proteso com’è a occupare il centro del sistema politico italiano recuperando i consensi in libera uscita da una destra acefala, finora ha diffidato di Tsipras. Più volte si è negato a richieste d’incontro col leader di Syriza (come già fece Bersani prima di lui), forse per non infrangere il patto di lealtà con il Partito socialista europeo cui solo di recente ha fatto aderire il Pd. Suonava anzi come un vistoso distinguo l’incontro fiorentino di Renzi con la cancelliera Merkel, avvenuto lo stesso giorno in cui Tsipras concludeva la sua campagna elettorale trionfale. Ma ora cambia tutto. Renzi ha fondati motivi per muoversi con maggior cautela (l’enormità del nostro debito pubblico), e inoltre gli è estranea la formazione culturale anticapitalistica di Tsipras e Iglesias. Eppure gli si presenta un’occasione unica per andare oltre le timide richieste di flessibilità nell’applicazione dei trattati che hanno contraddistinto il semestre italiano di presidenza dell’Ue.
All’improvviso si avvia una ricomposizione degli schieramenti politici europei in cui la “rivolta” dei paesi del Sud potrebbe determinare esiti fino a ieri imprevedibili. Un cambio di baricentro negli equilibri interni alla sinistra socialista, ma anche nelle linee di indirizzo della Commissione. Com’era prevedibile, la vittoria elettorale di Syriza rilancia pure le aspettative dell’estrema sinistra italiana che punta a uno sfaldamento del Pd. Soffiano di nuovo venti di scissione, dimenticando che se Renzi ha assunto con voto plebiscitario la guida del Pd, ciò fu dovuto alla palese inadeguatezza della classe dirigente che lui ha sconfitto.
Per escludere la possibilità di una meccanica trasposizione in Italia del fenomeno Syriza, basterebbe riconoscere le peculiari caratteristiche che hanno favorito il radicamento di quel movimento nella realtà greca: niente a che vedere con l’antiguito grillina o col litigioso ceto politico della veterosinistra nostrana, di matrice ex Pci o estremista. Syriza deve la sua fortuna a una pratica di giustizia sociale dal basso maturata in risposta alla sofferenza sociale. Un’intera generazione di medici e infermieri volontari che hanno dato vita a ambulatori gratuiti; e poi mercati popolari di generi alimentari, mense, ricoveri notturni… In una parola, quella cultura umanitaria del mutuo soccorso che finora in Italia si è sviluppata lontano da una politica concentrata nelle lotte di potere.
Se l’esperimento greco non si risolverà presto nell’ennesima disillusione, esso potrà schiudere un’alternativa popolare ai movimenti nazionalisti e xenofobi che minacciano l’edificio dell’Unione. Ieri Le Pen, Farage e Salvini hanno salutato con favore la vittoria di Syriza, ma è evidente che l’estrema destra resta agli antipodi del solidarismo uscito vincente dalle urne a Atene. Come si augurano i neonazisti di Alba Dorata, inquietante terza forza della politica greca, i reazionari confidano in un rapido fallimento di Syriza. Se verranno smentiti dalla realtà, allora è verosimile che dal bacino di civiltà del Mediterraneo si rigeneri un nuovo europeismo solidale, contrapposto ai paradigmi fallimentari dell’austerity. È un azzardo, ma per il futuro dell’Italia non è affatto una cattiva notizia.