L’autonomo e il banchiere
Sarah Horowitz, la presidente della Freelancers Union (FU), il più grande sindacato al mondo dei freelance, lavoratori autonomi e precari, è stata nominata nel board della Federal Reserve di NewYork. Fatte le debite proporzioni, visto che alla Freelancers Union aderiscono 200 mila soci e gli statuti delle banche centrali sono diversi, è come se un’associazione che tutela i diritti degli autonomi come Acta (che con la FU ha siglato quest’anno un gemellaggio), un sindacato dei traduttori come Strade che propone il mutualismo per i lavoratori indipendenti o un esponente di San Precario venissero chiamati a sedere accanto a Ignazio Visco in Bankitalia.
Da gennaio 2013 Sarah Horowitz avrà il compito di tutelare gli interessi della popolazione di New York in qualità di direttrice di «classe C» come stabilito dal Federal Reserve Act del 1913. La notizia è clamorosa perché equivale ad un importante riconoscimento del ruolo sociale, ed economico, di 42 milioni di lavoratori indipendenti, un terzo della forza-lavoro attiva negli Stati Uniti.
Le ragioni dei lavoratori
«Porterò nella Federal Reserve le ragioni di questi lavoratori – conferma Horowitz – Penso che abbiamo bisogno di un grande scarto nel modo in cui affrontiamo l’economia. Dobbiamo dare agli imprenditori sociali e alle cooperative l’appoggio e tutto lo spazio che hanno bisogno per rafforzarsi». Il tema dei diritti degli indipendenti, insieme al riconoscimento del loro ruolo in un’economia sempre più terziarizzata, dove il rapporto di lavoro sarà sempre più intermittente e precario e non più solo dipendente e subordinato, è stato affrontato con decisione dalla FU sin dalla sua fondazione nel 1995. Da allora, Sarah Horowitz, avvocatessa del lavoro e pronipote di uno dei fondatori del sindacato rivoluzionario americano Industrial Workers of the World (Iww), è riuscita a creare una compagnia assicurativa sanitaria, la Freelancers Insurance Company, basata sul mutualismo tra i soci della FU, che oggi annovera 25 mila associati e produce 100 milioni di dollari di entrate. Nel suo recentissimo libro, Freelancers Bible, Sarah spiega le ragioni della riscoperta della cultura del mutualismo e del cooperativismo Usa (lo ha studiato in Emilia Romagna e in Toscana, oltre che in Francia).
Secondo la National Cooperative Business Association, più di 2 milioni di americani hanno trovato lavoro in una delle 30 mila cooperative che sono nate negli anni della crisi provocata dai mutui sub-prime. Qualche esempio può servire per descrivere la rinascita dell’economia mutualistica, spesso accompagnata da strategie di crowdfunding e di auto-finanziamento che negli Stati Uniti hanno raggiunto una scala impressionante. In un solo anno, il 2011, alcune centinaia di persone hanno raccolto quasi 100 milioni di dollari per finanziare 27 mila progetti musicali, artistici o di design. Nel settore dell’artigianato e in quello dell’abbigliamento vintage sono stati raccolti più di 400 milioni di dollari che sono stati reinvestiti sin un’economia su base cooperativa. La Freelancers Union sta svolgendo un ruolo sindacale, negoziando con i datori di lavoro e con i committenti le quote da destinare all’assicurazione sanitaria (di cui i freelance sono sprovvisti, proprio come in Italia), oppure le percentuali da versare per il trattamento pensionistico di chi lavora in queste cooperative. Nella Grande Recessione in cui si trovano gli Usa da un quinquennio, questo modello sta funzionando. Dal 2013 verrà adottato da una serie di piani sanitari creati da associazioni no-profit e mutualistiche in Oregon e nello stato di New York. L’Obamacare, la riforma sanitaria voluta da Obama, li finanzierà con 340 milioni di dollari a tassi agevolati.
Occhio all’Italia
In Italia, lo spazio individuato dalla Freelancers Union per istituire le prime infrastrutture sociali a supporto di lavoratori che non sono mai, fino ad oggi, tutelati dai sindacati del lavoro dipendente è già da sempre occupato dal mondo delle cooperative che si è dotato di assicurazioni, fondi pensione e, da ultimo, con il progetto sanitario integrativo della «mutua dei cittadini» annunciato il 7 agosto scorso dal presidente Legacoop Emilia Romagna Paolo Cattabiani. Con questa iniziativa, nei prossimi 4 anni Lega Coop progetta di estendere la sanità integrativa anche a 4 milioni di «precari» italiani. Ciò che distingue il progetto del gigante italiano del cosiddetto «secondo Welfare» da quello della FU è il tentativo di costruire dal basso un sistema di welfare rivolto alla «forza lavoro del futuro». Impegnati nel tentativo colossale di costruire tutele e garanzie per chi non le ha mai avute, e che difficilmente le otterrà dallo Stato, la FU valorizza i freelance che si sono organizzati in gruppi, cooperative informali e collettivi di professionisti, insomma coloro che sono già impegnati a condividere i costi di un’attività , a creare reti con i clienti, o a barattare il proprio tempo in cambio di servizi erogati su base mutualistica. Anche quella americana è chiaramente un’impresa che sta dentro il mercato, e usa gli strumenti finanziari del capitalismo come ad esempio le fondazioni che negli Usa rispondono ad una legislazione diversa dalla nostra. Ma i proventi delle attività vengono reinvestiti interamente per finanziare le attività a beneficio del sindacato dei freelance oppure della loro compagnia assicurativa. Proprio come accadeva un tempo nelle società di mutuo soccorso di cui si era dotato il movimento operaio in Europa, come negli stessi Stati Uniti.
«Bisogna ricordare – aggiunge Sarah Horowitz – che lavorare come freelance è una maratona, non uno sprint. Bisogna prendersi cura di se stessi, come degli altri. Molti freelance se lo dimenticano». In Freelance Bible Horowitz riflette su una delle novità politiche prodotte, a livello globale, dalla crisi: la riscoperta del mutualismo tra le categorie di lavoratori che negli anni Ottanta, e ancora l’altro ieri in Italia, venivano definiti «imprenditori di se stessi», il «popolo delle partite Iva» che vive nella zona grigia dove l’attività d’impresa si confonde con il lavoro conto terzi. «Il lavoro, oggi, sta cambiando molto velocemente – afferma – la distinzione tra “freelance” e “imprenditore” sta scomparendo. I freelance possono collocarsi in entrambi i settori, e fanno tutto: dal curare gli account dei loro social media al costruire reti con altri freelance, organizzandosi in cooperative o imprese». Vista dall’Italia questa sembra un’utopia, basta solo leggere l’articolo 1 della riforma Fornero che valorizza «il lavoro subordinato a tempo indeterminato quale forma comune di rapporto di lavoro». Una precisazione che ha il sapore della beffa, visto che – come negli Usa – anche da noi il futuro del lavoro è quello degli indipendenti.
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