Il malessere della capitale lumbard A Varese è battaglia tra fazioni
VARESE — I giorni felici sono appesi in cornice ai muri della sala riunioni. Tra tante vecchie immagini c’è il primo manifesto elettorale, con la faccia di Umberto Bossi giovanissimo che sfonda il simbolo della Lega lombarda, c’è la foto del bacio con la moglie Manuela, ed era appena il 1990, quando alle elezioni amministrative l’Italia scoprì che i «barbari» non erano solo folclore. Questi due locali con disimpegno sono la prima sezione della Lega, la storica sede numero 1 aperta da Umberto Bossi. «Qui c’è la nostra storia, quel che siamo, o meglio: quel che dovremmo essere». La prima volta che è entrato nel palazzo di piazza Podestà , a Gianluigi Lazzarini tremavano le gambe. Il suo sorriso davanti alle immagini della vecchia Lega fa capire che il passato lo aiuta a scaldare un presente gelido.
A 66 anni, Lazzarini rappresenta il prototipo del militante puro, con la sua camicia a mezze maniche, il fazzoletto verde nel taschino e l’aria addolorata. Tecnicamente è un maroniano autonomista, sottocategoria non sempre d’accordo con i maroniani moderati e comunque ormai contrapposta al cerchio magico bossiano del varesino Marco Reguzzoni e di Manuela Marrone. «Le voglio un bene dell’anima, alla Manu. È stata tesserata qui fino al 2010. Negli ultimi tempi non si faceva più vedere. Poi ha scelto di iscriversi a Gemonio, e mi è dispiaciuto tanto. Io non mi ci ritrovo in queste divisioni. Ci fanno dimenticare che il nostro unico bene è la Lega. Tutti si fanno largo a spallate, e intanto noi tiriamo avanti appoggiando un governo che umilia 25 anni di battaglie leghiste». Varese è il giardino di casa, e il balcone ornato di fioriere della sede storica offre una panoramica completa sul male oscuro che rischia di mangiarsi la Lega. È tutto qui, in pochi isolati. Alla sede provinciale di via Magenta si chiudono le primarie in salsa leghista per eleggere i delegati da spedire al voto per il congresso del 9 ottobre, l’ennesima piccola ordalia per certificare i rispettivi rapporti di forza. In via San Michele sventolano i vessilli di Terra Insubre, l’associazione culturale di studio delle tradizioni celtiche che nella Lega varesina rappresenta l’ago della bilancia e l’inizio della lacerazione.
Appena due Pontide fa, estate del 2010. Dal sacro prato Umberto Bossi sospende dal partito il fondatore di Terra Insubre, Andrea Mascetti, avvocato di tutti i Comuni e le Asl a guida leghista, feroce e ricambiato odiatore del capogruppo parlamentare Reguzzoni. L’intemerata del Senatur venne letta come il segnale definitivo dell’influenza del cerchio magico sul fondatore. E il giorno dopo la passeggiata di Maroni sottobraccio a Mascetti, con annesso aperitivo al bar Pirola, fu considerata una risposta eloquente.
«Da allora è impossibile parlare se non in termini di fazioni». Fabio Binelli, assessore all’Urbanistica del Comune, è uno dei pochi a chiamare le cose con il loro nome, in una Lega varesina che traspone il proprio disagio nell’ermetismo figlio della paura. «Vedi quel signore che attraversa la piazza? È Giangiacomo Longoni, consigliere regionale, grande amico di Reguzzoni. Se vado a salutarlo, stai sicuro che dieci minuti dopo mi ritrovo iscritto d’ufficio al cerchio magico». Binelli invece è uno spirito libero, la mente politica e culturale della sede storica, un quarantenne iscritto alla Lega dal 1988, insofferente per un ricambio generazionale sempre promesso e mai attuato. «Otto iscritti su dieci stanno con Bobo, ma questa è anche la terra di Bossi. E se uno si prende il sostegno del cerchio magico è libero di fare quel che vuole». Giulio Moroni, avvocato e capogruppo in consiglio comunale, avverte chiaro il pericolo. «Stiamo andando veloci verso una divisione tra correnti. Ai limiti dell’autolesionismo».
La conferma della centralità varesina per le sorti della Lega sta anche nell’apparizione improvvisa della Velina verde, un anonimo sito Internet locale che ha come ragione sociale il fuoco a palle incatenate contro il ministro dell’Interno. «Avremmo tutto per andare d’accordo — sospira Binelli —, ma la congiunzione astrale è negativa. La Lega sta fornendo credibilità a un governo che non ne ha, e per farlo paga un prezzo identitario terrificante». I caduti sul campo si contano anche a Varese, primo tra tutti quell’Attilio Fontana, sindaco supermaroniano mandato a combattere sul fronte dei tagli agli enti locali e costretto a rapida e imbarazzante ritirata. Al banco del bar Biffi due vecchi leghisti riassumono così la situazione: «I tagli, le Province, il salvataggio di Milanese e prossimamente la fiducia a un ministro accusato di mafia. Ingoiamo, perché al momento di stringere, come sempre, Bobo tentenna». Niente nomi, per carità , perché oggi nella Lega «si sta come d’autunno sugli alberi le foglie». E infatti il neosegretario cittadino Marco Pinti ha una voglia di parlare pari a quella di cavarsi un dente. «La battaglia di Fontana» dice «era in puro spirito leghista, ma va trovata una sintesi tra amministrazione locale e governo, anche se ci costa molto sul territorio». Binelli, bendato e senza rete, la dice tutta: «Non riusciamo più a tenere una posizione nostra che sia una. Dobbiamo uscire dal governo, altrimenti di noi non resterà nulla». Le immagini sui muri della sede storica spiegano il dilemma leghista più di tante parole. Nella sala riunioni c’è la memorabilia bossiana, a ricordo del leader com’era. Nella stanza della segreteria, invece, il cartello più grande è un foglio bianco con la scritta «L’alleato dopo tre anni puzza», pieno delle firme dei militanti varesini. E quando il cronista chiede di andare in bagno gli viene opposto un diniego imbarazzato. Corrono voci che davanti al water vi sia la foto di un discusso uomo politico lombardo, fondatore del partito che dal 2001 a oggi è il principale alleato di questa Lega spaesata anche a casa sua.
(ha collaborato Roberto Rotondo)
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